“Peppino Impastato, ucciso due volte, prima dalla lupara mafiosa del clan Badalamenti, poi dai depistaggi e dall’inefficienza sospetta di polizia e magistratura. Un giovane eroe dei nostri tempi che ha combattuto a viso aperto e senza tentennamenti la piovra mafiosa. Egli fin da giovanissimo, a diciassette anni, abbracciò la causa della sua gente di Sicilia e si impegnò in una vera e propria lotta di liberazione della sua gente dalla cappa democristiana e dai suoi torbidi legami con la mafia. Sono tanti gli episodi del suo intenso e purtroppo breve impegno politico: dall’iscrizione al Psiup, alla fondazione di un giornale ciclostilato ‘L’idea socialista’ sul quale uscì un titolo che era una aperta sfida a quei poteri mafiosi e politici che lo avrebbero vigliaccamente ucciso: La mafia è una montagna di merda.
Più tardi avrebbe fondato anche Radio Aut per denunciare quotidianamente i delitti e le collusioni affaristiche della mafia con la DC e i suoi partiti satelliti. Il suo spirito libertario lo indusse ad aderire a Lotta Continua, spinto dal convincimento (era il post 68) che solo l’alleanza movimenti giovanili-operai potesse costituire un baluardo contro le commistioni tra politica corrotta e mafia. Qualcuno giustamente ha paragonato Peppino Impastato a Che Guevara, giacché di quest’ultimo aveva lo stesso impavido coraggio nel denunciare e combattere a viso aperto e senza indietreggiare i mafiosi, i corrotti, i collusi. Quando in un volantino definì Badalamenti “Viso pallido esperto in lupara e traffico di eroina” fu decisa ed eseguita la sua condanna a morte. Fu eletto e nominato post mortem consigliere comunale di Cinisi per la lista di Democrazia Proletaria con 260 voti.”. Con queste parole il filosofo salernitano Giuseppe Cacciatore traccia il profilo di Peppino Impastato, nato a Cinisi nel gennaio del ’48 e morto ammazzato il 9 maggio del 1978.
L’uccisione di Impastato avviene nel bel mezzo dei cosiddetti Anni di Piombo, in un mese scosso da due eventi tragici, due diversi ma simili attentati allo Stato: la morte appunto di Peppino Impastato per mano della mafia, e il ritrovamento del corpo di Aldo Moro (presidente della Democrazia Cristiana) in via Caetani a Roma. Due figure in lotta contro due mali che attanagliavano il Paese, la mafia e il terrorismo. Due personaggi che fecero il loro incontro simbolico quando incontrarono la morte il 9 maggio 1978.
Ma la notizia della morte di Peppino, avvenuta precisamente la notte tra l’8 e il 9 maggio, passò quasi inosservata all’indomani dei due omicidi poiché, proprio in quelle ore, veniva restituito il corpo senza vita di Aldo Moro.
Il cadavere di Impastato venne imbottito di tritolo e fatto saltare sui binari della linea ferroviaria Palermo-Trapani, tanto che inizialmente la sua morte venne scambiata per un suicidio. Ma la determinazione di Felicina, la madre di Peppino, morta a 88 anni il 7 dicembre 2004, assieme all’altro figlio Giovanni (fratello di Peppino), fece emergere la matrice mafiosa dell’omicidio, riconosciuta nel maggio del 1984 dal Tribunale di Palermo. Nel maggio del 1992 i giudici decisero l’archiviazione del caso, ma nel 2002 Badalamenti fu condannato all’ergastolo come mandante. A far conoscere la figura di Impastato al pubblico è stato anche il film di Marco Tullio Giordana ‘I cento passi’, ricordando la distanza che separava, a Cinisi, la casa degli Impastato da quella dell’assassino.
Con la Legge numero 56 del 2007, la giornata del 9 maggio è stata dedicata a “tutte le vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice”.
“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”.