“All’inizio era Ernesto. Da argentino aveva l’abitudine di rivolgersi agli altri con la locuzione ‘che’, e così iniziammo a chiamarlo noi cubani”, scriveva Fidel Castro.
Nacque a Rosario in Argentina il 14 giugno del 1928. Rivoluzionario, guerrigliero, scrittore, politico e medico, Guevara dopo aver conseguito la laurea in medicina, intraprese nel ’53 un viaggio attraverso diversi Paesi dell’America Latina.
“Anche se non militava in alcun partito, in quell’epoca aveva già idee marxiste”, scrive Fidel nel suo libro che racconta di “un’amicizia che ha cambiato il mondo”.
Mentre si trovava in Guatemala ci fu “l’invasione di quel Paese diretta dalla Cia […]. I cubani, insieme ad altri latinoamericani che si trovavano lì, furono costretti a lasciare il Paese e si trasferirono in Messico. Alcune settimane dopo arrivammo noi […] e in calle Emparán (si riferisce alla capitale del Messico) incontrammo il Che. Ci conoscemmo lì”.
Guevara aderì al movimento rivoluzionario per abbattere il dittatore cubano Fulgencio Batista. Dopo la fuga del despota, all’inizio del 1959, Castro prese il potere a Cuba. E il Che “Negli anni in cui servì la patria non conobbe un giorno di riposo. Furono molte le responsabilità che gli vennero affidate: presidente della Banca nazionale, direttore della Giunta di pianificazione, ministro dell’Industria, comandante di distretti militari”.
Nel governo di Fidel Castro, Ernesto Guevara divenne ministro dell’Economia nel 1961. Ma il suo obiettivo principale era diffondere negli altri Paesi gli ideali della rivoluzione, tra i quali la riforma agraria, con la quale distribuire la terra a tutta la popolazione togliendola dalle mani di pochi latifondisti, e la nazionalizzazione di tutte le industrie.
Perseguendo il suo obiettivo, el Che lasciò Cuba e partecipò alle rivolte del Congo e della Bolivia dove venne catturato dalle forze governative e brutalmente ucciso. Soltanto dopo molti anni il governo boliviano ha indicato il luogo nel quale il corpo del Che fu sepolto.
Chi conosceva il guerrillero heroico, che assieme al suo amico Alberto Granado, aveva sfrecciato in lungo e in largo per l’America latina a bordo della ‘Poderosa’ (La Norton 500 M18), sapeva che non c’era modo di catturarlo vivo – come la testimonianza di Fidel riporta – a meno che non si trovasse in stato di incoscienza, o fosse gravemente ferito o “a meno che non gli si rompa l’arma, infine a meno che non abbia nessuna possibilità di evitare di finire prigioniero togliendosi la vita” […]. “Arrivati a questo punto la discussione o i dubbi che possono sussistere non si riferiscono più al fatto della morte in sé […] quanto al modo in cui la morte è avvenuta”.
Il 15 ottobre del 1967, l’allora Primo ministro cubano Fidel Castro dava la conferma della morte del rivoluzionario (e compagno di lotta) Ernesto ‘Che’ Guevara; il líder máximo raccontò la fine dell’eroe della rivoluzione cubana.
Il discorso che pronunciò alla televisione di Stato poneva fine al rincorrersi di voci. Da poco meno di una settimana, infatti, dalla Bolivia, il Paese dove il Che si trovava da circa un anno per addestrare i guerriglieri locali, giungevano notizie preoccupanti sulla sua cattura e ferimento in un’imboscata delle truppe governative. Col passare dei giorni, nuove informazioni e alcune foto giunte a Cuba non lasciarono dubbi: il Che era morto, Castro ne diede notizia al Paese e proclamò tre giorni di lutto.
“Crescete come buoni rivoluzionari. Studiate molto per poter dominare la tecnica che permette di dominare la natura. Ricordatevi che l’importante è la rivoluzione e che ognuno di noi, solo, non vale nulla.
Soprattutto, siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo. È la qualità più bella di un rivoluzionario”, dalla lettera ai figli, in ‘Lettere scelte’.
“Ernesto Guevara, soprannominato il Che, è stato uno dei personaggi più iconici – e iconizzati – della storia recente, in particolare tra le giovani generazioni degli anni Sessanta, fino ai giorni d’oggi. Le foto del Che sono state viste, stampate e usate, a volte strumentalizzate, in ogni angolo e occasione come simbolo di lotta e di ribellione in generale. A prescindere dalla condivisione delle sue idee e posizioni politiche, la figura di Guevara è rimasta, e si è distinta, perché rappresenta il mito di un uomo che per seguire i propri ideali ha sacrificato tutto: famiglia, affetti e, alla fine, la propria vita.
Un sacrificio che ritroviamo spesso nei personaggi ‘rivoluzionari’ del tempo, come Nelson Mandela.
Dietro il personaggio storico, però, si cela anche un uomo, un padre, un poeta. Da questa premessa è nata la mostra Tú y todos (dal nome di una sua poesia scritta alla moglie), che racconta la figura di Guevara attraverso i suoi scritti, pubblici e privati, i suoi discorsi, le sue foto, lasciando che i valori e gli ideali emergano in modo naturale, senza pregiudizi o preconcetti.”
Nelle parole di Camilo Guevara, secondogenito nato dall’unione tra el Ce e la sua seconda moglie Aleida March.