Il primo evento che segna la riapertura del Quirinale dopo la fine del lockdown è carico di significati. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in un momento assai delicato per la magistratura, ha scelto di ripartire con una cerimonia per ricordare le toghe uccise dal terrorismo e della mafia: Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli, Mario Amato e Gaetano Costa nel quarantesimo anniversario della morte e Rosario Livatino nel trentesimo.
L’omicidio di Nicola Giacumbi fu commesso a Salerno il 16 marzo 1980 dalle Brigate Rosse. Giacumbi era un procuratore della Repubblica di Salerno che venne assassinato a Salerno il 16 marzo 1980, nel tardo pomeriggio di domenica, quando aveva 52 anni, davanti a casa sua mentre rientrava, per mano di una cellula salernitana delle Brigate Rosse, con una raffica di colpi alla schiena davanti agli occhi della moglie Lilli, che fu sfiorata da un proiettile ma rimase fortunatamente illesa. Il magistrato, nell’accettare il ruolo di “facente funzioni” di Procuratore della Repubblica, aveva in precedenza rifiutato la scorta per non rischiare altre vite umane, come era invece accaduto nel sequestro Moro.
Le BR rivendicarono il delitto con una telefonata ad una televisione locale. Il suo assassinio era inquadrato in una campagna di attentati contro i rappresentanti dello Stato, infatti due giorni dopo a Roma venne ucciso un altro magistrato Girolamo Minervini, e il giorno successivo, il 19 marzo, venne ucciso Guido Galli ad opera di Prima Linea.La risposta delle forze dell’ordine avvenne il 28 marzo a Genova con l’irruzione nel covo di via Fracchia a opera dei carabinieri del generale Dalla Chiesa e la conseguente uccisione, nel conflitto a fuoco, di quattro terroristi.
Si attribuisce all’omicidio un “forte valore simbolico”, realizzato a due anni dal sequestro Moro, volendosi “accreditare l’ipotesi della creazione di un blocco di violenza terroristica che univa il Nord al Sud”. Otto brigatisti furono individuati, come autori dell’omicidio e saranno tutti successivamente condannati dalla Corte d’Assise d’Appello di Potenza.