Non tutti i carabinieri della caserma «Levante» di Piacenza erano «mele marce». C’era anche un giovane militare – come emerge dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Luca Milani – che non ha mai partecipato agli illeciti dei colleghi. Il maresciallo R.B. è descritto da due dei carabinieri arrestati come una persona «dall’atteggiamento solitario, che non fa gruppo». È l’ultimo arrivato alla caserma Levante , i colleghi «capeggiati» da Beppe Montella lo tengono ai margini. Il giovane spesso si confida con il padre (un carabiniere in pensione) a telefono e si lamenta dell’operato dei colleghi.
Proprio dai colloqui con il padre intercettati dalla magistratura il carabiniere manifesta «tutta la delusione per essere finito a lavorare in un ambiente in cui vengono costantemente calpestati i doveri delle forze dell’ordine, dove tutto è tollerato a condizione che vengano garantiti i risultati in termini di arresti». Secondo il magistrato il ragazzo manifesta «una scarsa propensione a seguire i colleghi dovuta al suo forte disagio nel constatare le continue violazioni e gli abusi commessi all’interno della caserma di via Caccialupi». Il maresciallo R. B. si lamenta dello scarso rispetto delle regole all’interno della caserma. Dei colleghi che, quando sono assegnati a compiti specifici si rifiutano di uscire (come il presidio del carabiniere di quartiere) o falsamente attestano servizi mai svolti. Dalle carte però non emerge né che il maresciallo fosse a conoscenza di tutti gli illeciti commessi, né tantomeno di sue volontà di denunciare. Lo si comprende nel momento in cui una vittima di un pestaggio (e del furto del telefonino) da parte della squadra di Montella si presenta in caserma per protestare e riavere il cellulare. A riceverlo alla porta è lui, in funzione di piantone.. La vittima prova a spiegargli gli abusi subiti e — si vede dalle riprese delle telecamere piazzate dai finanzieri — gli mostra i segni sul collo delle percosse subite. Il maresciallo a quel punto però avvisa Montella e socii della presenza dell’uomo e di rientrare. Durante le indagini non emerge alcun suo coinvolgimento nelle azioni illecite. Piuttosto viene tenuto e si mantiene ai margini. Quando si confida con un collega gli viene spiegato: «Sei appena uscito alla scuola, imparerai le cose….». Il giovane militare si sfoga invece con il padre e dice di non condividere assolutamente le violazioni compiute dai compagni di caserma : «Molte cose le fanno le cose a umma a umma, non mi piacciono» – ripete più volte al genitore -. Se lo possono permettere perché portano a casa gli arresti. Io non sono né carne, né pesce, non so come comportarmi».
Il papà del militare cerca di tranquillizzarlo, senza tuttavia invitarlo a denunciare o a parlare con i superiori:«Comunque questi risvolti negativi un po’ dappertutto li troverai, come i risvolti positivi». Il padre addirittura lo invita a parlarne di persona e non al telefono: «Non so cosa intendi tu e quando verrai ne parleremo di persona, mi farai capire meglio. È meglio che parlare al telefono… che qua siamo tutti spiati ed è tutto un casino quando uno deve dire una cosa». Il lavoro alla caserma di via Caccialupo non piace al giovane maresciallo, non solo per la presenza di Montella e soci. Il padre però lo invita a restare e a fare «esperienza» in vista di un trasferimento futuro in reparti «più tranquilli»: «Tu devi stare in stand-by – gli consiglia – sperando che tutto vada bene». Il padre, sintetizza il giudice, gli dice che «tutto questo gli deve servire come bagaglio di esperienza e aggiunge che di “cose storte” ne vedrà tante nei piccoli reparti e pertanto gli consiglia, una volta fatta la sua esperienza decennale, di continuare la sua carriera in reparti dove può stare tranquillo». Il giovane risponde: «Cioè, capito? Quindi lascio un po’ passare così, anche passivamente».