La Lega stamattina era a Cava de’ Tirreni con Matteo Salvini. In una piazza dove campeggiava lo striscione del comitato del sindaco uscente con la scritta “Servalli Sindaco”, il leader politico ha ricevuto cori di protesta, poi sfociati in azioni tristemente riprovevoli (il volo di una sedia), e slogan di sostegno dai fautori.
Le locandine riportavano motti simili a quelli conosciuti nelle campagne elettorali precedenti, lo slogan “prima gli italiani” si è trasformato in “prima i campani”.
Sono poche le parole del comizio, iniziato con grande ritardo per la difficoltà di far entrare in sicurezza, nell’agorà cittadina il leader di un partito che trent’anni fa si credeva destinato ad essere una meteora nella scena politica italiana; sono parole che riprendono i temi cari alla Lega, ma ciò che colpisce è la temerarietà di un esponente politico che se da un lato abbassa i toni, dall’altra li provoca, rispondendo a tono ai presenti che esprimono dissenso per una presenza non gradita.
È stanco Salvini in un tour elettorale in una Campania ostica, ma la presenza dei detrattori è la sfida che gli piace, lo ricarica e lo pone nella condizione di parlare direttamente con quelli che vorrebbero offenderlo e a cui rivolge l’invito a disertare l’appuntamento che lo vede protagonista per dedicarsi alle proprie attività lavorative.
La folla brucia parole dure e pure i sostenitori paiono storditi dall’attacco violento destinato al proprio beniamino che recupera vigore e riesce a trasmetterlo ai suoi.
Le parole, ripeto, sono davvero poche, la musica incalza e accompagna gli innumerevoli selfie che il politico propone a chi vuole, e inizia la sfilata di persone che desiderano immortalare l’attimo con quello che considerano l’esponente su cui puntare. Lui si concede e non mostra mai, e dico mai, segni di insofferenza.
Salvini ha un suo stile che lo rende unico. Stamane ho avuto modo di osservarlo e poco importa se piaccia o meno, ciò che conta e quello che fa. Ha uno sguardo velocissimo in grado di intercettare l’umore della piazza, sa come predare gli uomini e le donne che ha di fronte. Scambia battute con i “nemici”, ma tutto rientra nel gioco per portare punti a casa, che consiste nel consolidare il suo elettorato di oggi e anche di domani. Sa come sfruttare le offese che lo colpiscono, le usa come mezzi per validare il suo operato. Riscalda gli animi dei detrattori, stando bene attento a non oltrepassare mai il limite che lo porterebbe dalla personale difesa all’attacco gratuito. Mostra e accetta rosari, baciandoli con deferenza.
Non ha paura di toccare, abbracciare, parlare con il suo pubblico che poi è il suo elettorato. Non cerca i giornalisti che ignora garbatamente, la riserva di caccia è rappresentata da quelli a cui offre il momento del contatto in quel selfie condiviso che i suoi ammiratori cercano e attendono con pazienza.
Il selfie diventa il modo popolare per concedere l’attenzione al pubblico che sente di essere importante per chi detiene il potere, è solo un attimo che sugella il contratto sul quale è riportato un voto.
È un comunicatore che sa cosa vuole e va a prenderselo senza perdersi in arzigogolati pensieri.
C’è da riflettere su questo modo di operare e creare proseliti. Chissà se qualcuno se ne accorgerà e manifesterà usando l’arte della parola. Chissà …