Si avvicina l’8 settembre, anche se la sua memoria è onorata dalle istituzioni, sul fronte culturale, meglio a Sarno, Domenico Rea resta una voce nocerina di grande e immutato spessore. 8 settembre, 99 anni dalla nascita, il secolo insomma è dietro l’angolo. Nella Nofi moderna il nome è ricordato perennemente: lo porta una delle strade più trafficate della città e di una scuola che si rivolge al mercato del lavoro. Ma Domenico Rea è stato più di una strada e di una scuola. E’ stato un sentiero fertile per scoprire splendori e miserie di Nocera, meglio per rivelarle al mondo attraverso i libri. Ma i suoi libri non invecchiano, reggono al tempo che passa risultando attuali nella concezione di peccato e riscatto, luce e buio, come la sua Nofi, cambiata ma includente ancora tutto quel che Rea, napoletano che amò questo posto fin dalla gioventù trascorsa tra il centro, l’Ideale e dintorni, e via Solimena, quel buvero che Ninfa Plebea portò alla luce, come in altri libri s’era industriato per altri posti di Nofi, per le sue contraddizioni, per il pomodoro, per gli industriali corrotti dentro e le ragazzine che attraverso loro o i militari cercavano un futuro ma andavano a sbattere contro il dolore. Nofi raccontata così, fece storcere il muso a nocerini che volevano lavare perennemente in famiglia i panni sporchi, tipo il preside del Vico in C’eravamo Tanto Amati quando si trattava di commentare il neo-realismo cinematografico post seconda guerra mondiale. Rea fu iper neo-realista, va ringraziato e studiato ancora: Nofi l’ha descritta alla perfezione.
Nel 1924 la famiglia si trasferisce a Nocera Inferiore. Da piccolo Rea vive un’infanzia libera, aperta alle esperienze della strada e della campagna, è un bambino volitivo, ma rivela anche, in ambito scolastico, una forte volontà di apprendere e notevoli attitudini per la ginnastica e lo studio, in particolare della geografia e dell’italiano.
Dopo le elementari frequenta una scuola d’avviamento professionale e non va al ginnasio, nonostante il consiglio degli insegnanti. Inizia per il futuro scrittore un periodo di assoluta libertà. Spesso accompagna il padre e i suoi amici in escursioni nei paesi vicini, alla ricerca di fiere e osterie, e l’incontro con la letteratura avviene in modo casuale. I suoi primi due libri li ruba da un carretto, durante un mercato a Salerno: le Operette morali di Leopardi e il primo volume della Storia della letteratura italiana di De Sanctis; da questo momento Rea inizia la formazione di una vastissima biblioteca.
Ancora adolescente a Nocera incontra per la prima volta interlocutori in grado di renderlo consapevole del suo talento: sono il frate francescano Angelo Iovino, che gli trasmetterà la passione per i novellieri trecentisti, lo psichiatra Marco Levi Bianchini, amico di Sigmund Freud, Luigi Grosso, uno scultore anarchico confinato dal regime fascista a Nocera, e Pasquale Lamanna, raffinato uomo di lettere, che insegna al liceo di Castellammare. Al Centro di ricerca per la tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia sono conservati circa quattordici quaderni, che vanno dal 1937 al 1940, più un numero notevole di fogli sparsi, che testimoniano come per Rea scrivere è già diventato un bisogno vitale e persistente.
Nel 1939, a diciassette anni, partecipa a un concorso letterario bandito dalla rivista «Omnibus», diretta da Leo Longanesi, con il racconto È nato: non vince il concorso, ma Longanesi lo elogia e lo invita a continuare a scrivere. Comincia a collaborare al settimanale salernitano «Il Popolo fascista» e a «Noi giovani», il quindicinale del GUF. Durante la guerra conosce Michele Prisco e Annamaria Perilli, che diventerà sua moglie. Nel 1944 si iscrive al PCI e diventa segretario della sezione di Nocera. Inizia a frequentare spesso Napoli e il gruppo di giovani intellettuali che darà vita alla rivista «Sud» e stringe amicizia con Luigi Compagnone, l’eterno “amico-nemico”.
In una di queste incursioni napoletane conoscerà Francesco Flora, amico intimo di Benedetto Croce. Flora sarà il primo a credere veramente in lui come scrittore, e lo aiuterà a pubblicare sulla rivista «Mercurio», diretta da Alba de Céspedes, un racconto La figlia di Casimiro Clarus. Conclusa la guerra, l’attenzione di Rea si sposta su Milano, in cerca di agganci editoriali. Ritrova Luigi Grosso che gli procura l’ospitalità di Giacomo Manzù e la conoscenza di intellettuali come Montale, Quasimodo, Gadda, Rèpaci, Anceschi.
L’incontro determinante sarà quello con Arnoldo Mondadori e suo figlio Alberto; con loro avvia una vivace quanto sofferta corrispondenza, che precede e accompagna le sue pubblicazioni con la grande casa editrice. Nocera si allontana fisicamente ma resta il punto riferimento dei tanti suoi romanzi. L’ultima volta vi appare nel 1985, per un’iniziativa dell’allora sindaco Mario Stanzione e dell’allora preside del Ragioneria Corrado Ruggiero: un incontro con gli studenti della città assieme ad altri due nocerini illustri, Jò Marrazzo e Luigi Coccioli.