“Io sottoscritta Stefania Formicola dichiaro che in mia morte qualunque sia la causa mio figlio debba essere affidato ai nonni, assolutamente. E in caso di loro morte mio figlio debba essere assolutamente ed esclusivamente affidato a mia sorella Fabiana”. Fa accapponare la pelle immaginare una giovanissima mamma che fa ‘testamento’ a 28 anni, temendo più di ogni altra cosa, più della morte, che suo figlio finisca nelle mani brute del padre. Aveva ragione, Stefania, che aveva compreso perfettamente le intenzioni del marito, Carmine D’Aponte. Non l’avrebbe lasciata andare. Un giorno o l’altro, l’uomo che aveva sposato le avrebbe giocato un brutto tiro. L’avrebbe intercettata nel breve tragitto dal loro appartamento a quello dei Formicola, i suoi genitori, distanti pochissimi passi nel cuore della provincia casertana, a San Marcellino. L’avrebbe sorpresa nel buio, con un coltello o a mani nude, quelle che le aveva fatto assaggiare più volte. Anche quando ce le immaginiamo, però, le cose non vanno esattamente come pensiamo. Infatti non andò così. Stefania e Carmine si videro su appuntamento nell’auto di lui una mattina a Sant’Antimo, a qualche chilometro da casa. Era ottobre il 19 del 2016, diciassette giorni dopo il compleanno di lei. Un colpo solo, un proiettile partito dalla pistola calibro 7,65 che D’Aponte aveva sottratto dal garage del suocero. Una saetta di fuoco nel petto e poi il buio, la vita di Stefania è finita all’improvviso come aveva immaginato tante volte. D’Aponte è stato condannato definitivamente all’ergastolo. I nonni, come voleva Stefania, sono diventati tutori dei bimbi e hanno fatto anche di più. Hanno chiesto che prendessero il loro cognome, come a voler cancellare per sempre il trauma dalla vita dei loro bambini.
JENNIFER PAGANO