Luca Giordano, dalla natura alla pittura è una mostra di grande impatto emotivo. Collocata nella sala Causa del Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli, dove resta aperta fino al 10 gennaio 2021, in ambienti sotterranei, suggestiona non poco. Si ha la sensazione di scendere nelle viscere di un percorso, di un pensiero, di un modo di vivere l’arte. L’approccio diventa più intimo, le opere sono come appese alle pareti di casa, su finti parati dai colori caldi. La vicinanza, l’assenza di filtri, permettono di lasciarsi coinvolgere dai dettagli di volti ed espressioni, di oggetti e movenze che rendono il percorso empatico.
Nello stesso tempo è possibile, didatticamente e umanamente, il confronto con le opere di artisti coevi, a cui Giordano si è ispirato, da cui ha imparato. Si trovano qui, faccia a faccia: ognuno può toccar con mano il senso di questo dialogo tra artisti. Il suo viaggio tutto napoletano parte dall’abbracciare il caravaggismo riberiano, in cui è estremo nell’imitare e innovare i dettagli, come si vede nel confronto tra opere dallo stesso soggetto come gli esposti “Apollo e Marsia”. Poi si apre al mondo veneziano, romano e anche di Pietro da Cortona. Tutto questo racconto in mostra diventa un percorso non didascalico, e, andando oltre il virtuosismo di Giordano, se ne coglie la sfumatura concettuale, il compiacimento emozionale. Bravura dei curatori Patrizia Piscitello e Stefano Causa. Bravura degli allestitori ( già apprezzati a Capodimonte per la mostra di Caravaggio e Gemito) COR arquitectos (Roberto Cremascoli, Edison Okumura, Marta Rodrigues) con Flavia Chiavaroli. Merito di chi questa mostra l’ha fortemente voluta: il direttore del Museo Sylvain Bellenger.
“La particolarità- racconta la curatrice Patrizia Piscitello – è che è una mostra costruita per balzi, per emozioni e contemporaneamente è estremamente didattica. Si coniugano sia l’emozione che la possibilità di raccontare le varie fasi di evoluzione dell’artista: Giordano giovane quando guarda Durer e Raffaello o il periodo della passione mai sopita per l’attività di de Ribera. Quando Giordano affronta completamente il barocco di Pietro da Cortona dopo il suo soggiorno fiorentino. E il Giordano finale quello spagnolo e poi quello di ritorno a Napoli sul crinale del secolo tra seicento e settecento”.
Sansone e S. Michele.
Colpisce dall’inizio la prospettiva dell’installazione, suggestiva fin dai primi sguardi. Sansone e il Leone, la sfida con il mondo animale, opera proveniente dal Museo del Prado di Madrid, diventa la carta da visita della mostra. Un tema che rimanda a Rubens ma che viene messo in rapporto con lo stesso soggetto di Lanfranco (conosciuto meglio anche ala Certosa di San Martino dove vide le sue opere) e anche con una statua di Vaccaro su Ercole e il leone di Nemea, proveniente dal museo Filangieri di Napoli. Ma dopo aver attraversato un corridoio che mette insieme un autoritratto di Luca Giordano con gli occhiali (oggetto quest’ultimo che si ritrova spesso nell’artista) e disegni che sembrano quasi pitture, si viene catturati dalla suggestione di una finestra su uno squarcio artistico di grande forza. San Michele Arcangelo di Vaccaro e dell’argentiere Giovan Domenico Vinaccia, proveniente dal museo del Tesoro di San Gennaro di Napoli, sembra la versione materica del San Michele Arcangelo che sconfigge gli arcangeli ribelli di Giordano, proveniente dalla chiesa dell’Ascensione a Chiaia. I volti degli arcangeli ribelli hanno in se la drammaticità della visione teatrale, espressione dettagliata di un virtuosismo meno empatico ma che suscita grande stupore.
LA PESTE, OMAGGIO ALL’ATTUALITA’ DI UN PERCORSO NATURALISTICO
Nelle varie sale, definite cronologicamente e per temi, si succedono opere tra racconti sacri e storici, tra miti antichi e sguardi di un mondo che piano piano si costruisce sempre più in una complessa rappresentazione. Non può mancare il racconto della peste: Micco Spadaro a piazza mercato coglie l’evento mentre Luca Giordano ne coglie l’aspetto naturale e ‘religioso’ in “San Gennaro intercede presso la Vergine, Cristo e il padre eterno per la peste del 1656”. Qui un dettaglio rende più attuale questo percorso: c’è un uomo tra gli appestati con la mascherina, come oggi. L’omaggio al naturalismo di Giordano, in una storia del passato suo contemporaneo, diventa nota di attualità. Il covid, in effetti ha influenzato anche questa mostra, facendola rimandare, rendendo complicata l’organizzazione, come hanno sottolineato i curatori.
DALLA NATURA ALLA PITTURA
Luca Giordano, detto ‘Luca fa presto’ , è famoso per la sua prolissa capacità di creare. Pare che il suo Trionfo di Giuditta, tra le ultime opere, dipinto per la sala del tesoro della Certosa di San Martino, sia stato realizzato in un solo giorno. Avrebbe dipinto realizzato “Chilometri di affreschi” forse più di 3000 opere . Ha vissuto molto il confronto con artisti da Durer, Rubens, Rembrant , Veronese, Tiziano, Raffaello e il sempre presente Ribera. Legami di un percorso alla ricerca di una identità che viene ben raccontato in mostra con il diretto confronto tra le opere. Una scelta interessante che si affianca a un’altra possibilità fornita da questa mostra: vedere i quadri di altare a distanza ravvicinata. I dettagli prendono luce, come si nota con l’opera proveniente dalla chiesa di Santa Brigida a Napoli, a cui lavorò di ritorno dalla Spagna. E sono i proprio dettagli che creano curiosità e stupore. Sono i dettagli che aprono a nuove immagini, che lo rendono da naturalista a visionario, a uomo di pittura. In questo senso si può intendere anche il fatto che ha dipinto, creato in finzione, il supporto ligneo del quadro, vero trompe-l’oeil che permette alla pittura di creare materia, supporto, dimensione.
Presenza costante nella Napoli dell’epoca, Giordano fu influenzato dall’incontro toscano con Pietro da Cortona. In Spagna poi divenne anche pittore di corte. La maturità incede, ma la sua cifra resta questo inevitabile gioco di rimandi tra opere, a cui si ispira e da cui si emancipa costantemente. Ne è testimonianza la Venere dormiente con satiro, che sembra una novella Danae. In occasione di questa mostra, nel settore “Wunderkammer: lo spettatore come voyeur” viene realizzato anche un accostamento singolare con le ceramiche di Carlo Antonio Grue con cui condivide la centralità della pittura.
Luca Giordano e le chiese di NAPOLI
Si può dire che visitare le chiese napoletane vuol dire quasi necessariamente imbattersi in opere di Luca Giordano e questa mostra di Capodimonte lo vuole ricordare- Non a caso la sala finale ospita un video, molto suggestivo e sinestetico, realizzato da Stefano Gargiulo (Kaos Produzioni) che mostra alcuni dei luoghi e delle opere di Giordano della chiesa di San Gregorio Armeno, di Santa Brigida, della Certosa di San Martino e dei Girolamini. Questa sala, che nell’ambientazione ripropone una chiesa, con tanto di candele, crea una dimensione di totale immersione per lo spettatore che vede riflessi, giochi e rimandi all’opera di Giordano nei diversi spazi della città. Sentendo anche gli odori, completamente immersi nei suoni e circondati dalle immagini in evoluzione, si esce dalla mostra con la volontà di ripercorrere e ritrovare Giordano in questi luoghi. Su questo riappropriarsi dell’artista nel suo contesto cittadino, arricchito da un nuovo punto di vista e con nuovi spunti, si basa la mostra. “Abbiamo immaginato questa mostra –racconta il curatore Raffaele Causa – come un invito al viaggio, alla conoscenza di questo maestro: veniamo qui a vedere Giordano poi rimettiamoci in cammino per le chiese di Napoli“.