Oggi ricorre il centenario della nascita del Partito Comunista Italiano in seguito alla scissione operata da una componente del Partito Socialista Italiano, capeggiata da Bordiga, Gramsci e Terracini, nell’ormai famoso congresso di Livorno del 1921. L’idea dei fondatori del PCI, sulla scia di quanto avvenuto in Russia tra bolscevichi e menscevichi, era che solamente con la rivoluzione armata si potesse abbattere lo Stato borghese e instaurare la dittatura del proletariato, che poi avrebbe portato all’instaurazione del socialismo al posto del capitalismo, mentre invece i socialisti ritenevano che la via al socialismo dovesse avvenire democraticamente e per gradi, allargando e coinvolgendo alla causa la maggioranza dei cittadini. Tutto questo avvenne in un clima di forte diffusione in tutta Europa delle tesi rivoluzionarie marxiste-leniniste in seguito alla rivoluzione russa del 1917 ad opera dei bolscevichi guidati da Lenin, che spinse molto i comunisti italiani a separarsi dai socialisti, pena la loro esclusione dall’Internazionale Comunista che aveva come scopo l’estensione della rivoluzione proletaria, come avvenuto in Russia, su scala mondiale.
Il PCI è stato il più grande partito comunista dell’occidente ed è stato un protagonista fondamentale della storia italiana per quasi 70 anni, fino al suo scioglimento avvenuto nel 1989 ad opera di Occhetto, con la famosa svolta della Bolognina, in concomitanza con la caduta del muro di Berlino e lo sgretolamento dell’Unione Sovietica, cominciato con la politica della Perestrojka di Gorbaciov. Si può dire che il PCI non abiurò mai apertamente le proprie tesi fondative e l’attaccamento alla Grande Madre Russia, se non negli ultimi anni della sua esistenza, provocando anche molti abbandoni, pur mantenendo sempre un grande consenso elettorale. La sua grande forza fu sempre il forte radicamento territoriale e nei luoghi di lavoro, anche attraverso la Cgil, la grande capacità di propaganda, dovuta anche agli aiuti russi e sostenuta dalla quasi totalità dell’intellighenzia culturale italiana, e la forte ascendenza carismatica dei propri leader. Molti furono affascinati da questo movimento di massa, per i più svariati motivi, come cantava anche Gaber in Qualcuno era comunista, tra i quali anche il sottoscritto quand’era più giovane. Io, come molti altri, ero affascinato non tanto dalle sue idee costitutive, fondate sulle tesi marxiste-leniniste (peraltro in gran parte travisate, ma questo è un altro discorso), quanto per il sogno che esso rappresentava, ossia quello di una società più giusta, dove tutti potessero avere le stesse opportunità, dove non vi fossero persone sfruttate, emarginate, sottomesse, dove trionfasse la giustizia sociale, dove i soldi fossero il mezzo e non il fine, dove lo Stato si facesse carico dei più deboli, garantendo loro le stesse opportunità di quelli nati più fortunati. Insomma, il sogno di un mondo migliore. Col tempo, poi, mi sono reso conto che quel peccato originale, ossia quello strappo dalla casa madre del socialismo democratico, unito ad una certa radicalità di pensiero e di atteggiamento, ad un certo conservatorismo ideologico, ha portato non solo a fare in modo che la sinistra italiana, da allora in poi, non ha mai più trovato un’unità, indebolendosi, tant’è che ancora oggi è forte l’astio tra gli eredi della tradizione socialista e quella comunista, ma anche a fare in modo che quel sogno, di cui mi ero innamorato, non si realizzasse mai e l’Italia, unica tra i paesi occidentali, rimanesse indietro sul percorso del riformismo socialdemocratico, unica via, secondo me, affinché proprio le classi sociali che la sinistra dovrebbe rappresentare potessero ottenere dei risultati favorevoli.
Tant’è vero che l’Italia è uno dei paesi occidentali dove maggiori sono le diseguaglianze sociali, i lavoratori stanno messi peggio, il welfare funziona molto male, il fisco è più favorevole al capitale che al lavoro, la mobilità sociale è praticamente ferma, i giovani sono maggiormente penalizzati, i divari territoriali sono più accentuati, ecc. ecc. In più bisogna dire che quando ci sono state delle grandi conquiste sociali, come lo Statuto dei Lavoratori, queste sono state ottenute soprattutto con il contributo dei socialisti. Allora, anche con l’età, il sogno si è trasformato in realismo, la razionalità ha prevalso sul sentimento e l’esperienza mi ha portato a convincermi che l’unica via per la realizzazione dei valori e degli ideali che mi hanno sempre accompagnato, fosse quella della socialdemocrazia. Per questo oggi sono un convinto socialdemocratico, riformista, europeista e per un’economia sociale di mercato. Ma sempre collocato a sinistra. Possiamo dire che ho seguito il percorso del PCI, non rinnegando mai i miei valori, ma ammettendo che quel sogno probabilmente era affascinante ma completamente fuori da ogni logica e dalla realtà. Però…è stato bello sognare.