“L’ultimo sorso – vita di Celio”, edito da Mondadori è l’interessante libro scritto da Mauro Corona che lascia filtrare, attraverso le parole dedicate alla ricostruzione della biografia di tale Celio, una dolcezza che spiazza.
Celio è l’amico, il fratello, il compagno di scalate e bevute, il rifugio dalla violenza paterna, l’esempio a cui ispirarsi, che Corona, negli anni determinanti della formazione, elegge a tutore di vita; Celio è scomparso da ormai quarantacinque anni, ma sembra vagare nella memoria dell’autore come una mina in attesa di brillare e sono le pagine che raccontano la sua storia a fare la luce necessaria.
L’omaggio di Corona ha il sapore amaro della resa di chi affianca un amico, dotato di un’intelligenza particolare diretta a sperimentare ogni sospiro che l’esistenza possa offrire, ma destinato a non trovare il suo posto tra gli altri. Celio non cerca il contatto umano, evita l’affettività con il prossimo, vive il silenzio come la forma perfetta dell’esistenza disciolta nel vino che annebbia ogni cosa.
Un legame difficile da comprendere quello narrato per chi è stato educato ai ritmi delle metropoli contemporanee, sempre più anonime quanto febbricitanti, dove la natura è una concessione edilizia organizzata da architetti capaci di dare respiro a quartieri sovraccarichi di cemento.
In montagna, quella vera, il cielo è una lastra azzurra che spunta dalle vette più imponenti e lascia intravedere il volo di uccelli sconosciuti ai più, che macchiano di scuro lo spazio luminoso.
Nell’esistenza di Celio si intravede anche quella difficile di Corona che ne tratteggia i confini.
Le parole riportano i fatti e fendono i pensieri senza cedere alla tentazione di ingentilirsi e incalzano tratteggiando un mondo “roccioso” nella geografia e nei rapporti, e per questo, affascinante e disturbante per chi ne risulta estraneo e distante.
Un libro in salita dove la discesa agli inferi è quella dell’anima. Una storia sorprendente. Da leggere.