Comune di Roccapiemonte scontro con la GORI s.p.a.. La Sentenza del Consiglio di Stato n. 3137/202 dà al Comune il rimborso delle spese legali confermando la Sentenza del Tar di Salerno n. 1184/2014 che vedeva vittoriosa la GORI s.p.a..
Di seguito il testo integrale “REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 597 del 2015, proposto dalla società GORI- Gestione Ottimale
Risorse Idriche S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli
avvocati Alessandro Biamonte, Mario Percuoco e Massimo Scalfati, con domicilio eletto presso lo studio
dell’avvocato Biamonte in Roma, via Pistoia, n. 6;
contro
il Comune di Roccapiemonte, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato
Michele Dionigi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Sindaco del Comune di Roccapiemonte nella sua qualità di ufficiale di Governo, il Prefetto di Salerno,
l’ATO 3 – Ente Ambito Sarnese Vesuviano, l’ATO 4 – Ente Ambito Sele, la Ausino S.p.a., in persona dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;
per la riforma della sentenza del TAR Campania, Sezione staccata di Salerno, sez. I, 4 luglio 2014, n. 1184, che ha
pronunciato sul ricorso n.859/2013 R.G. proposto per l’annullamento dei seguenti atti del Comune di
Roccapiemonte, di sottrazione dell’affidamento del servizio idrico integrato alla GORI S.p.a. quale
affidataria nell’Ambito territoriale ottimale – ATO n. 3 Sarnese-Vesuviano:
a) della deliberazione 9 gennaio 2013, n. 1, del Consiglio comunale;
b) della deliberazione 24 gennaio 2013, n. 5, del Consiglio comunale;
c) della nota 11 febbraio 2013, prot. n. 2425, del Sindaco;
d) dell’ordinanza 15 febbraio 2013, n. 7, del Sindaco;
e) della nota 5 febbraio 2013, prot. n. 2124;
e per la condanna
del Comune intimato al risarcimento del danno.
In particolare, la sentenza ha accolto la domanda di annullamento ed ha respinto la domanda risarcitoria;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto ;atto di costituzione in giudizio del Comune di Roccapiemonte;
Visti tutti gli atti della causa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Si controverte degli atti di cui in epigrafe, con i quali il Comune appellato ha inteso sottrarre la gestione
del proprio servizio idrico integrato alla società appellante, affidataria dello stesso nel più ampio Ambito
territoriale ottimale – ATO n.5 Sarnese-Vesuviano, di cui il Comune stesso fa parte.
2. Per chiarezza, è necessario ricostruire in sintesi l’assetto del servizio all’epoca dei fatti.
2.1 La prima disciplina generale del servizio idrico integrato sul territorio nazionale è stata dettata dalla l. 5
gennaio 1994, n. 36, oggi superata perché recepita dal d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che ne ha nello specifico
mantenuto l’impianto.
La l. 36/1994 in questione è entrata in vigore in un contesto in cui tendenzialmente gli acquedotti erano
gestiti dai singoli comuni, ciascuno per il suo territorio, ed ha introdotto all’art. 4, comma 1, lettera f),
appunto il concetto di “servizio idrico integrato”, costituito “dall'insieme dei servizi pubblici di captazione,
adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue”.
Di questo servizio idrico integrato, la legge all’art. 8 ha previsto la riorganizzazione “sulla base di ambiti
territoriali ottimali”, in sigla ATO, delimitati in base ad una serie di criteri, riconducibili a quello fisico del
riferimento ad un dato bacino idrografico naturale, e in concreto ha demandato alle Regioni di individuarli
entro un dato termine.
2.2 La Regione Campania ha provveduto in questo senso dapprima con la l.r. 21 maggio 1997, n. 14, in
vigore all’epoca dei fatti, ma oggi superata dalla l.r. 2 dicembre 2015, n. 15; questa legge ha individuato
direttamente gli ATO in cui suddividere il territorio della Regione ed ha previsto all’art. 4 un termine
perentorio entro il quale i singoli comuni e le province ricomprese in ogni ATO avrebbero dovuto
riorganizzare il servizio, imponendo loro la “costituzione di un consorzio obbligatorio di funzioni”.
2.3 L’art. 12 ha poi chiarito che “dal momento della costituzione dell'Ente di ambito tutte le funzioni in
materia di servizi idrici dei comuni e delle province consorziati sono esercitate dall'Ente di ambito
medesimo” (comma 1) e che “con la sottoscrizione, da parte del soggetto gestore, della convenzione per la
gestione del servizio idrico integrato, cessano, in attuazione dell'articolo 10 della legge 5 gennaio 1994, n.
36, le gestioni esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge”, salve limitate eccezioni, qui non
rilevanti.
3. L’ATO n. 3, di cui fa parte il Comune intimato appellato, si è concretamente attivato il 23 gennaio 1998,
ha predisposto il piano di ambito con la delibera 31 luglio 2000, n. 6, ed ha successivamente approvato con
la delibera 27 novembre 2000, n. 11, lo schema di convenzione fra l’ente stesso e l’impresa che in concreto
sarebbe andata a gestire il servizio, ovvero l’appellante (ricorso di primo grado, p. 4, fatti non contestati);
ha poi contestualmente operato la ricognizione delle singole gestioni, affidate fino a quel momento ai
comuni corrispondenti, nelle quali la società sarebbe andata a subentrare, in concreto attraverso una
conferenza di servizi fra ente e comune, in cui stabilire le precise modalità del subentro (appello, p. 4, fatti
incontestati).
4. In esecuzione di questa delibera, da ultimo con verbale di conferenza di servizi 21 gennaio 2008, l’ente
ed il comune appellato hanno stabilito di avviare nel territorio comunale la gestione da parte della società
affidataria, con obbligo per il Comune di trasferirle entro il 1° aprile 2008 tutte le opere e gli impianti
relativi (doc. 7 in I grado ricorrente appellante).
5. Il Comune, per ragioni qui non rilevanti, ha ritenuto di non rispettare questa decisione, non ha
consegnato gli impianti ed ha posto in essere numerose iniziative per contrastare il passaggio della gestione
alla società affidataria, dando vita ad un ampio contenzioso avanti il Giudice amministrativo, nel quale
rientra questa causa.
6. Per quanto qui interessa, allora, il Comune con due delibere consiliari qualificate come di indirizzo,
ovvero le deliberazioni 9 gennaio 2013, n. 1, e 24 gennaio 2013, n. 5, ha espresso la propria contrarietà al
passaggio del servizio alla GORI, ha richiesto all’ATO n. 3 una deroga per continuare la gestione diretta e in
subordine ha chiesto di essere riassegnato all’ATO n. 4, nel quale affidataria è altra società, la Ausino S.p.a.,
ritenuta preferibile perché a capitale interamente pubblico; parallelamente, con una serie di ordinanze del
Sindaco, e da ultimo con l’ordinanza 7/2013, ha prescritto agli uffici comunali di continuare nella gestione
diretta, senza passaggio di consegne alla GORI (doc. ti 1 e 4 in primo grado ricorrente appellante, ordinanza
citata e nota comunale, ove sono indicati gli estremi e i contenuti delle delibere di indirizzo).
7. La società ha impugnato questi atti con il ricorso di primo grado ed ha proposto contestualmente una
domanda di risarcimento del danno, per asserita lesione del proprio interesse a realizzare compiutamente
l’attività sul territorio di pertinenza, per il mancato introito dei pagamenti delle utenze e per le limitazioni
alla propria attività di sviluppo, nonché per la lesione dell’immagine aziendale (ricorso di primo grado p.
36).
8. Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR ha respinto un’eccezione preliminare di inammissibilità,
ritenendo il carattere lesivo degli atti impugnati, ed ha infatti osservato che essi avevano avuto l’effetto
concreto di impedire il passaggio della gestione; ha accolto la domanda di annullamento, osservando che ai
sensi del citato art. 12 della l.r. 14/1997 il Comune ha perso ogni competenza in materia di servizio idrico,
ed ha però respinto la domanda di risarcimento.
Su quest’ultimo punto, il TAR ha osservato che da un lato la poca chiarezza delle norme sul servizio idrico,
sulle quali si era appena svolto un referendum abrogativo, escludeva la colpa dell’amministrazione;
dall’altro che era stata accordata tutela cautelare, con l’ordinanza 6 giugno 2013, n. 315, in modo tale da
evitare il prodursi di danni.
9. Contro questa sentenza, la società affidataria ha proposto l’appello principale, riproponendo la domanda
di risarcimento; a sostegno, essa ha affermato che la colpa dell’amministrazione sussisterebbe e per la
liquidazione del danno ha rinviato ad una perizia di parte prodotta in primo grado, chiedendo
contestualmente consulenza tecnica d’ufficio.
10. Il Comune si è difeso con una memoria depositata il giorno 22 aprile 2015, con la quale ha proposto
anche appello incidentale, basato su due motivi:
– con il primo di essi, il Comune ha riproposto l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, ed
ha sostenuto che gli atti impugnati sarebbero privi di efficacia autoritativa, in particolare le ordinanze con
cui è stato ingiunto di non consegnare il servizio sarebbero state revocate;
– con il secondo motivo, il Comune ha sostenuto il difetto di legittimazione della GORI, a suo dire cessata
dall’affidamento alla data del 31 dicembre 2010 ai sensi dell’art. 15, lettera e), del d.l. 25 settembre 2009,
n. 135, modificativo dell’art. 23 bis del d.l. 15 giugno 2008, n. 112.
11. Con memoria di data 31 gennaio 2021, l’appellante ha ribadito le proprie difese ed ha dedotto di essere
gestore del servizio ininterrottamente sino ad ora.
Con memoria 4 febbraio e replica 16 febbraio 2021, il Comune ha invece insistito sul proprio appello
incidentale.
12. All’udienza del 9 marzo 2021, la Sezione ha quindi trattenuto il ricorso in decisione.
13. Sia l’appello principale, sia l’appello incidentale sono infondati e vanno respinti, in ordine logico per le
ragioni ora esposte.
14. Vanno esaminate per prime le due eccezioni preliminari fatte valere con l’appello incidentale, le quali
hanno lo scopo di far respingere per ragioni processuali l’intero ricorso così come presentato in primo
grado, ovvero non solo la domanda di risarcimento che è stata respinta ed è ora riproposta con l’appello
principale, ma anche la domanda di annullamento invece accolta.
14.1 L’eccezione per cui gli atti impugnati sarebbero in realtà privi di autonoma attitudine lesiva è infondata
in fatto.
Se si esaminano i contenuti degli atti impugnati, non è intanto vero che le ordinanze sindacali impugnate
con il ricorso di primo grado siano state in qualche modo revocate. E’ stata sì revocata l’iniziale ordinanza 9
gennaio 2013, n. 1, per effetto della successiva ordinanza 15 febbraio 2012, n. 6, e infatti nessuno di questi
due atti è stato impugnato.
È stata però contestualmente adottata l’ordinanza impugnata, 15 febbraio 2013, n. 7, che ha un indubbio
contenuto lesivo, se non altro perché “ordina” agli uffici e ai servizi comunali – in quel momento impegnati
a gestire l’acquedotto – di proseguire l’attività “senza passaggio di consegne” alla GORI (doc. ti 1-3 in primo
grado dell’appellante, in particolare l’ordinanza impugnata, doc. 3). Inoltre, il contenuto delle delibere del
Consiglio comunale 1/2013 e 9/2013, quale riferito nella nota del Sindaco 11 febbraio 2012 (doc. 4 in primo
grado dell’appellante), è a sua volta immediatamente lesivo, in quanto esse impongono all’ente di non
contrattare con la GORI, e demandano al Sindaco l’attività esecutiva della decisione da esse già presa.
14.2 È infondata anche la seconda eccezione di inammissibilità, perché la cessazione ex lege cui l’appello
incidentale fa riferimento era quella disposta dall’art. 23 bis del d.l. 15 giugno 2008, n. 112, abrogato con
referendum, come da DPR 18 luglio 2011, n. 113, e quindi posta nel nulla per effetto di quest’atto.
15. Ciò posto, è infondato anche l’appello principale.
15.1 Circa l’elemento soggettivo della prospettata colpa del Comune, ci si deve richiamare a quanto
correttamente apprezzato dal Giudice di primo grado: la colpa va esclusa in ragione dell’oggettiva poca
chiarezza del quadro normativo all’epoca dei fatti, in cui per effetto del citato referendum si poteva
ragionevolmente ritenere che ciascun Comune, quale soggetto pubblico, avesse recuperato il potere di
gestire in proprio il servizio idrico integrato.
15.2 È poi corretto quanto rileva sempre il Giudice di primo grado, ovvero che in concreto gli effetti dei
provvedimenti impugnati sono stati sospesi in via cautelare già con l’ordinanza 6 giugno 2013, n. 315, e non
consta uno specifico pregiudizio prodottosi nel tempo della loro efficacia.
A tale proposito, per completezza, occorre evidenziare che manca anche la prova del danno. La consulenza
tecnica di parte, da cui l’appellante ritiene di desumerla, si limita infatti, in buona sostanza, ad enumerare
presunte voci di danno, senza però allegare né provare i fatti storici ovvero la documentazione contabile
che di questi presunti danni sarebbero la prova.
Poiché per pacifica giurisprudenza – per tutte C.d.S., sez. VI 15 febbraio 2021, n. 1354, e 2 maggio 2018, n.
2613 – la prova relativa incombe alla parte privata danneggiata, la domanda non può essere accolta
nemmeno sotto questo profilo.
16. Per le ragioni che precedono, vanno respinti l’appello incidentale e quello principale, con conferma
della sentenza impugnata.
Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e si liquidano così come da dispositivo. La
soccombenza, come va precisato, si deve riferire alla domanda di merito, ovvero alla domanda risarcitoria, proposta dalla GORI in questo grado, e non all’appello incidentale, che ha proposto eccezioni processuali le
quali non hanno modificato l’esito del giudizio di primo grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello
come in epigrafe proposto (ricorso n. 597/2015), respinge sia l’appello principale, sia l’appello incidentale.
Condanna la GORI S.p.a. a rifondere al Comune di Roccapiemonte le spese di questo grado di giudizio,
spese che liquida in € 5.000 (cinquemila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.