Nella primavera del 1948 la Salernitana vive il primo campionato di Serie A della propria storia e attraversa un buon momento di forma dopo i due successi casalinghi sul Bari e sulla Fiorentina e il buon pareggio del derby di Napoli. Sulla strada dei granata verso la salvezza si presenta, però, il “Grande Torino”, capolista del torneo insieme ad un ostinato Milan. Per la città di Salerno ospitare il “Toro” è un evento storico che attira migliaia di spettatori dall’intera Campania. Ben nove calciatori del Torino vestono anche la maglia azzurra della Nazionale Italiana: Bacigalupo, Ballarin, Loik, Rigamonti, Castigliano, Ossola, Gabetto, Mazzola, Ferraris. All’arrivo in città sono accolti da numerosi tifosi festanti, ma tra i calciatori della Salernitana c’è il desiderio di mettere lo sgambetto alla capolista. Si gioca di sabato a causa delle elezioni politiche. La Salernitana, per dovere di ospitalità, scende in campo in maglia gialla e bordi granata e fin dal fischio d’inizio si lancia all’attacco. Al 7’ il sogno diventa realtà: Merlin, su cross di Onorato, porta in vantaggio la Salernitana, sfruttando una respinta di Bacigalupo. Il pubblico incredulo è in estasi. In campo i padroni di casa galvanizzati dal risultato continuano ad attaccare spendendo energie preziose. Nel tentativo di infastidire i temibili avversari, la tifoseria salernitana ha sottolineato con fischi e sfottò ogni retropassaggio al portiere torinese. Dopo il gol del vantaggio granata, il portiere Bacigalupo, spazientito delle numerose pernacchie ricevute, chiama a se il capitano Valentino Mazzola per dirgli due parole. Subito dopo, Mazzola richiama a gran voce la squadra impartendo indicazioni e, battendo le mani come per dire <<Adesso basta>>, dà inizio alla riscossa ospite. Infatti, al 17’ Gabetto firma la rete del pareggio. All’intervallo la Salernitana è stremata, tanto che l’argentino Sifredi sbaglia spogliatoio e finisce in quello del Torino.
La pausa non rigenera la Salernitana che continua a faticare al cospetto di un “Toro” scatenato. Senza ricorrere al famoso “quarto d’ora granata”, chiamato dai tre squilli di tromba del ferroviere tifoso Oreste Bolmida, il Torino domina nella ripresa certificando la vittoria con le reti di Gabetto, Ossola e Mazzola per l’1-4 finale. Al 90’ gli sfottò lasciano il posto agli assordanti e sinceri applausi degli oltre 15.000 spettatori assiepati sui gradoni dell’attuale Vestuti. Il Corriere dello Sport racconterà così quella sfida: <<Il Torino ha incassato per primo ma non ha battuto ciglio nella conseguente e immaginabile bolgia di entusiasmo salernitano. Ha pareggiato le sorti nella prima fase e poi si è spiegato con esempio di giuoco e di gol ineccepibili. La Salernitana ha ceduto ma con onore ed esce rafforzata, non diminuita, dalla gara. Tutti dovranno fare i conti con questa squadra che non vuole assolutamente cadere e saranno conti complicati!>>. Quella partita resterà tra le più importanti giocate dalla Salernitana e, forse, è l’unica sconfitta che si ricorda senza dispiacere, ma con un profondo rispetto e orgoglio nell’essere stati, seppur per dieci minuti, migliori di un mito assoluto del calcio mondiale. Anche se non scese in campo, Vincenzo Margiotta rimase colpito e affascinato dal “Grande Torino”: <<Quella squadra poteva giocare anche con una benda davanti agli occhi>>, ricorderà anni dopo il bomber granata. Un anno dopo quella storica partita, il “Grande Torino” perì nella tragedia di Superga, portando con sé anche il giornalista salernitano Renato Casalbore, al quale è intitolata la piazza antistante lo stadio Vestuti.
SALERNITANA-TORINO 1-4
SALERNITANA: Gambazza, Rispoli, Pastori, Rodriguez, Piccinini, Iacovazzo, Merlin, Vaschetto, Sifredi, Tori, Onorato. All. Viani.
TORINO: Bacigalupo, Ballarin, Tomà, Loik, Rigamonti, Castigliano, Fabian, Ossola, Gabetto, Mazzola, Ferraris II. All. Sperone.
Arbitro: Zilli di Reggio Emilia.
Reti: 7’ Merlin, 17’, 59’ Gabetto, 79’ Ossola, 81’ Mazzola.
Il direttore tecnico di quella squadra magnifica capitanata da Mazzola era Ernest Egri Erbstein che nelle stagioni 1929 e 1930 aveva allenato la Nocerina. Egri Erbstein è stato intitolato il viale adiacente allo stadio “San Francesco”, e proprio l’allenatore ungherese unisce Torino e le due Nocera. Infatti la leggenda granata si intreccia con la storia della Nocerina, facendo nascere nel tempo un rapporto di amicizia nel tempo tra le due tifoserie, segnato dal ricordo comune dell’allenatore del grande Torino.Erbstein giunse a Nocera nell’estate del 1929 per guidare la formazione rossonera appena iscritta in Prima Divisione ( la terza serie dell’epoca). Il presidente della società rossonera era Salvatore Buonocore, affiancato già dall’anno precedente dal colonnello Pavone, comandante del reggimento militare cittadino. Il tecnico ungherese poteva contare su Colombetti, Brindisi, Cavallo, Maccaferri, Di Clemente, Friuli. Cascone, Raktelj, Montarini, Ceresoli, Accarino e Bertagna. La formazione rossonera si schierava con il cosiddetto “Metodo a doppia W” e con una rivoluzionaria idea di gioco.
Erbstein amava galvanizzare la squadra con i suoi “discorsi” prima di scendere in campo. Era, infatti, un grande oratore e tutti pendevano dalle sue labbra. “Chi la dura la vince”, era il suo motto principale. Tutto faceva parte di una precisa strategia psicologica, il cui fine era quello di mettere i giocatori in condizioni di rendere il massimo durante la partita e fare anche sfoggio di bel gioco. Per lui lo scopo di ogni gara non era solo vincere, ma farlo bene perché il pubblico si aspettava uno spettacolo. Arrivarono con la Nocerina nel campionato di Prima Divisione vittorie importanti contro la Salernitana, il Cagliari, e la Stabia, la squadra rossonera concluse il campionato 1929/1930 alle spalle del Palermo capolista, a pari punti con Messina e Foggia e con un ruolino di marcia casalingo quasi da record. Erbstein fu osannato da tutti i tifosi della Nocerina, tuttavia le difficoltà economiche ridimensionarono le aspettative, cosi i molossi rinunciarono alla Prima Divisione dell’anno successivo e l’ allenatore fu costretto ad andare via accasandosi al Cagliari con cui vincerà un campionato. Negli anni successivi ottenne grandi soddisfazioni con la Lucchese portando la compagine toscana in massima serie. Poi l’addio momentaneo per le leggi razziale ed il grande ritorno. A tenere ancora vivi i rapporti tra la famiglia Erstein e Nocera, c’è la figlia Susanna Egri, grande ballerina del tempo che fu. rito della sorella Marta, regista del Mosè televisivo e dell’Aida all’Arena di Verona, di cui lei ha curato le coreografie- «Sono nata nel 1926, vivo a Torino, ricordo tutto di mio padre e ricordo anche che a Nocera ci sono persone che ancora lo ricordano, negli anni scorsi qualcuno mi ha contattato per chiedermi ricordi e aneddoti. Io oggi voglio raccontarvi altro. A causa delle leggi razziali mi avevano espulsa dal liceo di Lucca. Fervente cattolica, manco sapevo che i miei avi paterni fossero ebrei. Andavo a messa, a casa nostra festeggiavamo Natale e Pasqua. In pagella avevo 10 in religione cattolica e la media del 9 nelle altre materie. Mio padre mi scrisse una lettera: “Figlia mia carissima, io ti scrivo in italiano, perché voglio che tu non dimentichi di aver avuto un’educazione italiana, latina, toscana. Non puoi immaginare quale tormento e preoccupazione sia per me vederti costretta a cessare i tuoi studi, nei quali hai riportato tanti onori. Se tu in tutte queste dolorose vicende e contro qualsiasi avversità rimani con la testa alta, forte di animo e di spirito, se il tuo sguardo non si stacca dall’ideale, se la tua volontà non cede dinanzi agli ostacoli, se i tuoi desideri rimangono sempre cristallini, non attratti dal lusso, dai divertimenti, dal facile vivere, tu sarai quella che io sogno tu debba divenire: un essere superiore, un poeta, una scrittrice, una scienziata…”».