“Il male minore” di Alessandro Orofino – Pathos Edizioni – è un romanzo che rappresenta perfettamente la continua ricerca di un equilibrio tra le aspirazioni e le effettive possibilità di realizzazione personale.
Oggi più di ieri, il legittimo desiderio di ciascuno di sentirsi a proprio agio nel ruolo scelto, pare difficile da concretizzare.
Quante volte si sceglie quello che si considera il male minore nel tentativo, a volte illusorio, di ricevere conferme dall’esterno per poi impantanarsi nella routine quotidiana? Che peso attribuiamo alle aspettative delle persone che ci circondano e che influenza hanno sulle opzioni che ci permettiamo di vagliare nella vita?
Il bivio è la possibilità di trovare la verità che ci definisce, ma quante volte lo evitiamo per rimandare decisioni che cambierebbero il corso degli eventi? Il cambiamento richiede coraggio e non sempre siamo pronti a sostenere il peso delle critiche altrui e, spesso, preferiamo indossare la maschera che gli altri chiedono di rappresentare.
Nel romanzo si ripercorre la storia di un giovane che riconosce di essersi accomodato in un’esistenza nella quale è già tutto stabilito e che in un barlume di lucidità tenta di liberarsi dal senso di insoddisfazione che permane nelle piatte giornate lavorative e sentimentali, che s’intreccia, in modo inatteso, con quella di un padre che ha costruito un rapporto con l’unica e adorata figlia basato sulla menzogna, pur di non abdicare alla personale necessità di costruirsi un’immagine vincente che lo riscatti dai quotidiani fallimenti.
Il gusto amaro della sconfitta personale, che deriva dal confronto tra l’essere e l’apparire di pirandelliana memoria in cui l’umanità intera è costretta a rappresentare sé stessa in un perenne palcoscenico, permea le due esistenze narrate nel libro.
Nel tempo, i riflettori della scena possono diventare insostenibili per gli attori che aspirano a rappresentare una verità, intesa come la corrispondenza tra l’espressione del desiderio di sé stessi e il posto che si occupa nel contesto sociale, e affiora la necessità di cambiare il corso degli eventi anche se questo comporterà la disintegrazione di una realtà che poggia sull’illusione di essere la maschera che si indossa.
Orofino propone un duplice finale per i due protagonisti che apre a scenari nei quali molti lettori potranno riconoscersi in una fragilità condivisa. Tradire sé stessi diventa la scelta obbligata per non deludere chi ci riconosce nelle proprie.
Lo psicanalista Gustav Jung chiariva che ogni individuo necessita di una maschera per disporre delle risposte da offrire alle richieste esterne, l’uso di troppe maschere ha come conseguenza pericolosa quella di determinare l’ombra della personalità. Tocca a noi decidere la strada della verità da percorrere.
La verità può essere assoluta e assolve da qualsiasi “colpa”? Ancora una volta il relativismo pirandelliano offre una riflessione interessante introducendo l’idea dell’assenza di una verità assoluta, perché è l’apparenza che definisce l’essere.