La mafia teme più la scuola della giustizia. Teme anche la chiesa, quella vera, non compromessa. 23 maggio è la data delle date: la morte di Falcone, della sua compagna e della scorta sembrò in quella inoltrata primavera del 1992 il punto di non ritorno. I ricordi personali s’intrecciano con quelli generali, formano un segmento di memoria.
Ore 19,15 più o meno di quel sabato, avevo già ascoltato la notizia dell’attentato (non c’erano ancora certezze su Falcone vivo, anzi diciamo che le speranze erano ridottissime). Passo davanti al Corpo di Cristo: la chiesa del battesimo e della comunione, successivamente anche della cresima e del matrimonio. Incrocio Padre Paolo Primavera (parroco dal 1973, lo sarà fino al 1994). Mi chiede una mano per le letture, gli dico della cosa di Falcone. Leggerò quelle letture (non ricordo ovviamente quali, troppo tempo è passato, a memoria dovevano essere quelle della domenica che fanno già parte della funzione vespertina del sabato) e lui inviterà a pregare per Falcone (ore 19,30 credo sia stato il primo in Italia a farlo, Falcone in realtà era morto alle 19,05 ma la notizia non era stata ancora battuta dalle agenzie, all’epoca il web non esisteva e si procedeva con edizioni straordinarie dei tg).
Dove c’è una parrocchia aperta al mondo e ai bisogni della gente, com’era il Corpo di Cristo ai tempi di Padre Paolo, difficilmente troverà spazio la criminalità, grande o piccola essa sia. Ci viene in mente un film di Marra del 2017, intitolato L’Equilibrio: Don Giuseppe, parroco a Roma, chiede di essere trasferito nella sua terra d’origine, la Campania, e la sua richiesta viene accolta: prenderà il posto di Don Antonio, che sovrintende la parrocchia di un paesino del napoletano con grande entusiasmo, ed è molto apprezzato dai fedeli. Appena arrivato Don Giuseppe si scontra con l’ostilità di suor Antonietta, braccio destro di Don Antonio, e si imbatte in Assunta, una giovane donna che nasconde un doloroso segreto. In breve dovrà decidere se lasciarsi coinvolgere dai problemi che affliggono i parrocchiani o “farsi i fatti propri”, come lo invitano a fare coloro che collaborano a vari livelli con la malavita locale. Alla fine vincerà l’equilibrio della ragion di territorio, Don Giuseppe andrà via.
Torniamo a noi. Padre Paolo, scomparso a Siena un paio di anni fa, dovrebbe essere ricordato di più e diversamente dalle nostre parti. Non è stato un semplice frate di Sant’Antonio. Mentre ad altri, facendo finta di nulla sulle dicerie, sono stati attribuiti in vita e in morte onori notevoli (intitolazioni, premi, eccetera), a lui sono rimaste le dicerie. Ma chi l’ha conosciuto sa alla perfezione che ha distribuito pane a chi non l’aveva, conforto materiale e spirituale (altri in tonaca distribuivano posti e intervenivano nella vita politica cittadina). Non un beato, non un martire e nemmeno un santo: parroco semplice, capace di immedesimarsi nei problemi della sua gente, a volte di risolverli.
La Chiesa (ovviamente ci sarebbe da parlare di Ciotti, Diana e Puglisi ma anche di don Lorenzo Milani) è stata storicamente, nei contenuti migliori, il primo ostacolo da superare, assieme alla scuola, per ogni tipo di criminalità che voleva impadronirsi di un territorio. La situazione, a 29 anni di distanza da Capaci, è migliorata o è peggiorata ? Obiettivamente, entrambe le istituzioni non riescono a proporsi o a riproporsi come efficaci agenzie educative. Son cambiati i tempi, fin troppo. Ma il cambiamento non può essere arretramento. Anzi deve essere stimolo, giorno dopo giorno, a recuperare terreno, magari in altro modo e con altri metodi. Altrimenti che senso avrebbe, anno dopo anno, ricordare con la stessa emozione di sempre quel maledetto 23 maggio?