Norberg-Schulz definisce il Genius Loci come lo spirito del luogo che gli antichi riconobbero come “quell’ “opposto” con cui l’uomo deve scendere a patti per acquisire la possibilità di abitare.
Il Genius loci indica il “carattere” di un luogo quale emerge anche dalle sue opere materiali e immateriali, cui i fruitori associano un particolare legame storico-culturale che rende unico e immediatamente riconoscibile tal luogo agli occhi del mondo.
L’arte ha sempre avuto la finalità di “leggere” e “far leggere” alla comunità di riferimento il nodo di convergenza del suo essere e riconoscersi appunto come comunità. Un richiamo prospettico a ciò che è stato, come paradigma di ciò che “deve essere” esprime una visione del fenomeno artistico nella sua valenza di “educazione civile” : questo significava l’arte nel mondo classico, questa valenza aveva l’arte nel Medioevo, in cui l’arte “sacra” era una Bibbia parlante per il popolo che “non sapeva leggere”, ma poteva essere immesso nelle comunità, l’Ecclesia, dopo l’azione di formazione naturale che le immagini rendevano possibile.
Ars non gratia artis, non un’arte che servisse solo a delectare , ma a “docere delectando”.
Se parliamo di Jorit e della sua Street Art, dell’ arte come arte contemporanea, non dobbiamo dimenticarne la finalità che non è “altra” rispetto al fenomeno artistico considerato nella sua essenza diacronica.
La presenza dell’ immagine del Genius Loci di per sé sacralizza lo spazio in cui si colloca e da quel luogo irradia la sua forza aggregatrice e costituente della comunità dei “cives” .
Lo spazio in cui si colloca diventa( deve diventare) un temenos, da cui in latino templum , un’area “ritagliata” , delimitata, cui avvicinarsi con rispetto , quello stesso con cui ci si avvicina a una Chiesa. Martire significa “testimone” : non abbiamo solo S. Felice e Santa Costanza , testimoni di una comunità che il potere politico perseguitava, ma dal 30 maggio un nuovo “spazio sacro” diviene monito, sguardo e prospettiva.