«Per noi Tonino era già una vittima di mafia. Il nostro compito è di raccontarne la storia, di stare vicino alle famiglie. Per poi aprire una riflessione sulla legge in materia».
A parlare, dopo la conferma in Appello dello status di vittima innocente di camorra per il cuoco e sindacalista della Fatme Antonio Esposito Ferraioli, è la responsabile nazionale per la memoria dell’associazione Libera, Daniela Marcone. «Il disagio di chi resta, delle famiglie, schiacciate dal percorso, è quello che fa specie – continua – per questo attraverso la memoria bisogna combattere le mafie». L’iter giudiziario al momento è al secondo grado di giudizio, dopo un primo Appello presentato dall’avvocatura dello Stato, l’ultimo giorno utile. Dall’omicidio consumato nell’agosto 1978 sono passati 43 anni, senza un colpevole per quanto riguarda mandanti ed esecutori, ma con una sentenza penale che ha dato una certezza, con un risultato storico per quanto riguarda la chiara, evidente matrice mafiosa dell’agguato, eseguito nelle palazzine di Pagani. Per quel dipendente-sindacalista-cuoco della Fatme, fabbrica paganese in cui maturò la vicenda, tra carne avariata, rivendicazioni e importanti riconoscimenti economici in termini di diritti ottenuti, con la successiva, accertata minaccia, serve il racconto. La storia. Per capire il sangue versato in nome di legittime rivendicazioni.
Gli atti, pur senza accertamenti giudiziari penali, ricostruiscono il contesto storico, dalla banda di camorra di Salvatore Serra alias “Cartuccia”, allora in piena ascesa, ai suoi componenti, tra cui Biagio Archetti e Aniello De Vivo, alias ’o russ, fratello del titolare della società che forniva i pasti alla Fatme, Giuseppe De Vivo. Tonino fu ucciso con una scarica di pallettoni e lo stesso fucile adoperato qualche mese dopo, quello stesso anno, per l’omicidio dell’avvocato Michele Buongiorno, presidente della cooperativa di vigilanza Audax, altro delitto senza colpevoli.
Determinante, nella ricostruzione dell’iter e del contesto criminale di quegli anni di sangue, con un numero elevato di delitti rimasti impuniti per omertà, intimidazione e decessi cruenti di molti dei malavitosi incriminati e coinvolti, è stata la testimonianza della sindacalista Lucia Pagano, operante nella Fatme, anche lei intimidita e minacciata con un attentato, presente durante alcune minacce evidenti subite da Tonino Ferraioli, ascoltata nelle more dell’attività istruttoria. Accertato è anche il forte interesse criminale delle cosche sulle attività imprenditoriali presenti in zona: l’appalto per la mensa della Fatme era un piatto appetibile, con pasti per 620 dipendenti e un ingente giro economico. Sufficiente ad ordinare un omicidio.