Una Premessa sentita come necessaria.
Pompei come scrigno, Pompei come spazio di riflessione, Pompei come dimensione dell’animo. Gli scavi non solo come luogo del passato ma soprattutto come luogo in cui il passato diventa emozione soggettiva e riflessione sull’eterno nel tempo del qui e ora. Come accade a ogni visita di un turista o di un passeggiatore più o meno seriale di questo luogo sospeso. In questo senso il sito archeologico diventa sempre scrigno di una modalità contemporanea, di un approccio riflessivo e non solo contemplativo perché ogni pietra, ogni forma di materia ritorni a pulsare di vita. Così oggi anche, come è sempre accaduto con il commento degli antichi viaggiatori degli ultimi secoli nuove operazioni, la proposta da Pompeii Commitment, aiuta a ripetere il possibile dialogo in cui anche gli artisti di oggi, in vario modo si cimentano a raccontare l’impatto, soggettivo quanto dell’eterno ricercato, dell’intreccio e dell’incontro con la storia quotidiana di un mondo bloccato nell’anima e nello spirito del 79 d. C. dal Vesuvio. Si chiama sperimentazione.
Metropoli Latina di Andrea Branzi nell’antica Pompei
Un nuovo tassello in questa direzione si aggiunge, fino al 30 novembre, nella Casa del Triclinio all’aperto dell’antica Pompei. Una casa modesta quanto intensa che nel suo triclinio tra i filari di viti mantiene il senso di un magico tuffo nel passato. Ma con la possibilità, l”apertura, l’esperienza che fornisce l’architetto e designer Andrea Branzi non è più solo una visita. Avvolti. ci si sente avvolti dal passato che diventa innanzitutto suono. Quello delle parole di Alessandro Preziosi, perfetto Catullo che racconta della sua Lesbia e del suo amore. E non importa se le parole riecheggiano o meno conoscenze latine pregresse perché è il suono di una lingua che rende totale l’immersione in uno spazio. E questo tappeto sonoro permette di conciliarsi con un salto nel tempo. Così accompagna e completa la presenza di maquette, plastici in cui pareti antiche in miniatura diventano lo scenario per una rilettura contemporanea. Che si tratti del dipinto del Vesuvio della casa del Centenario, o quelle nere con le raffinate decorazioni della villa dei Misteri diventano il fondo per una rilettura contemporanea, diventano spazio su cui inserire la modernità dei libri, o delle teiere, o di oggetti più o meno funzionali come barattoli. Non si può dimenticare che il passato è la base del nostro presente, sembrano dire. Cosi come non si può dimenticare che sono parte del quotidiano. E soprattutto parte di una naturalità che viene ribadita dalla presenza di frutti di mele cotogne, di melograni o di noci (rigorosamente di Sorrento).
Il mondo vegetale è fondamentale in questa visione di quotidiano. La sua importanza, che gli antichi avevano ben chiara, ci risuona forte in tempo di covid: avere uno spazio esterno e un giardino ricco dà un valore diverso alla casa. Anche Branzi la rimanda così.
L’immagine più suggestiva in mostra, per il suo formato e per il soggetto, è quella in formato grande della pittura con rose proveniente dalla casa del bracciale d’oro che diventa scenario per l’installazione più intrigante dell’esposizione. Una stampa ritoccata a mano dall’artista diventa il fondo per una parete, un mobile, che contiene oggetti quotidiani. Sfondo in cui si poggiano candelieri, contenitori e soprattutto mele cotogne con un melograno. E perché no una statua in alto, che con il suo colore argentato riflette luce di eterno. Il pensiero viaggia, il colore influenza, il vissuto va avanti.
Una dimensione introspettiva
Lo spazio introspettivo della casa del triclinio all’aperto scelta per le installazioni di Andrea Branzi è coerente con la volontà di lasciare un segno al visitatore che si invita ad entrare in uno scenario quotidiano, familiare, di vera casa. Perché è di casa che si parla, nel senso più umano e profondo. Dei colori di un vissuto di cui noi siamo figli e che continuiamo a rinvigorire senza alcun dubbio. Una scelta oculata legata anche alla cura di Gianluca Riccio e Arianna Rosica con lo Studio Andrea Branzi per una mostra prodotta grazie al supporto di Friedman Benda Gallery, New York nell’ambito del programma Pompeii Commitment. Materie archeologiche, in collaborazione con il Festival del Paesaggio.
Il giardino torna a vivere
Solo in questa ottica immersiva, familiare, quotidiana va visto il contributo dato dal tappeto sonoro del triclinio estivo che dà il nome alla casa. Tra i filari di vigneti, piantati da Mastroberardino per il suo vino prodotto nel suolo antico, si sentono suoni di animali. Tanto più reali quanto rendono vivido lo spazio. Animali da cortile o da trasporto che condizionano il colore di un giardino che tra i filari di viti inserisce una splendida fontana mosaicata. E’ così che quello spazio antico sospeso nel non tempo dall’eruzione sembra riprendere vita che regala subito un senso di gioia.
Al di là e oltre il percorso artistico quello che si sente entrando in questa casa è il calore di chi ha ideato questo viaggio. La cura del dettaglio e dell’ascolto, la volontà di proporre un’arte che sia dialogante non solo con il passato e non in maniera autoreferenziale, ma contemporanea e aperta e attenta al presente del visitatore che, già incantato dal miracolo della sospensione nel tempo regalato dal Vesuvio, si lascia coccolare in una dimensione coinvolgente, visivo e sonora. Avvicinando il proprio vissuto a quello del tempo per un attimo ancor più sospeso.
Una proposta che riesce a rispondere all’aspettativa lanciata dal progetto Pompeii Commitment di “rendere Pompei un luogo della contemporaneità, intellettuale ed emotiva” come spiega Andrea Viliani che con il direttore generale dei musei Massimo Osanna (allora direttore del Parco Archeologico di Pompei) ha voluto questo progetto.
Scrive Andrea Branzi che si riappropria poeticamente dello spazio antico
Pompei come luogo dei morti ma anche dei viventi, dei poeti, del mare e del vulcano, della politica e dell’eterno commercio…
Lontano dalla Roma dei monumenti, Pompei ci lascia cicatrici silenziose, profonde come le strade di pietra o leggere come tratturi…
Esposte al sole accecante e alla fresca penombra delle case, dove gli Dei sono confusi con gli schiavi e l’arte povera con l’arte ricca, i capolavori e le galline ruspanti…
Questa è la Pompei che più mi fa paura, perché troppo ci somiglia…
Nelle ville la luce opaca delle stanze penetra a fatica attraverso le piccole lastre di alabastro, illuminate da poche lucerne che ci permettono di scoprire i miti misteriosi e i volti degli antichi latini…
Essi infatti parlano in latino e recitano le poesie di Catullo
Andrea Branzi
Unicità e continuità. Come sottolinea anche il suo discorso inviato alla presentazione della Mostra a Pompei e letto da Nicoletta Morozzi, sua moglie ma non solo.
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