Sta spopolando in queste ore sul web una petizione lanciata da un gruppo di “studenti maturanti” (sic), i quali, in vista del prossimo Esame di Stato, chiedono l’abolizione delle prove scritte.
Il testo della petizione presenta una sintassi approssimativa, un uso scorretto della punteggiatura e “un’esame” scritto con l’apostrofo, errore tale da scoraggiare anche chi tenta di comprendere empaticamente questi ragazzi. Le firme fioccano e in poche ore la petizione sta diventando una delle più seguite.
Al netto delle polemiche su DAD, pandemia etc., emerge un quadro su cui è doveroso riflettere. L’abbassamento del livello culturale nel nostro paese, il dilagare dell’ignoranza, della presupponenza, dell’arroganza, dell’aggressività, della maleducazione, sono solo conseguenze di un’inadeguatezza della Scuola e delle continue riforme cui è stata sottoposta negli ultimi decenni?
O, piuttosto, anche esito della civiltà dei like e delle apparenze, di un’abdicazione della famiglia al suo ruolo educativo, di un gioco al ribasso degli obiettivi da raggiungere, di un malinteso diritto al successo minimo “di cittadinanza” garantito a tutti a prescindere dal merito, nelle intenzioni strumento di democratica inclusione ma di fatto demagogia di massa che mortifica l’individualità?
Serpeggia un malessere fra i giovanissimi che è più facile “sopire, troncare”, che analizzare e curare. Perché andiamo di fretta e corriamo, corriamo, non si sa verso dove. Perché noi adulti siamo sempre più fagocitati dal lavoro e dall’inseguimento di carriere e tenori di vita superiori, a spese del tempo da dedicare ai figli. Perché il focolare, quel luogo in cui il fuoco era sempre acceso, non c’è più, sostituito dal microonde con il post-it “il cous cous è nel contenitore in frigo, scaldalo un minuto”. Il pranzo o la cena insieme, in cui ci si raccontava come era andata la giornata, sono sempre più rari. Ci sono la palestra, il sushi con gli amici, il weekend fuori, tanto “i ragazzi sono contenti di sperimentare un po’ di autonomia”. Che siano contenti qualche volta di poter trasgredire beatamente, non c’e dubbio, ma chissà perché poi ci dicono “quando ho bisogno di te non ci sei mai”.
E noi li riempiamo di “cose”, esaudiamo le loro richieste senza dar loro il tempo di capire cosa significhi desiderare, li appoggiamo sempre e comunque se qualcosa a scuola è andato storto, un voto in meno, una nota, un insuccesso, dando addosso al docente di turno, che non sa fare bene il suo lavoro, perché così i ragazzi vanno in ansia e si traumatizzano.
È vero, sono sempre più ansiosi gli adolescenti, e persino i bambini: soffrono di ansia da prestazione, sono in competizione con tutti e hanno paura di fallire. Quando ancora insegnavo, un’alunna mi disse “Prof, questo voto forse lo merito, ma non lo scriva subito sul registro elettronico: mi dia il tempo di parlare con i miei, altrimenti gli rovino la serata”. Non era un brutto voto, era un sei e mezzo, voto di riguardo in un Liceo, ma comunque sgradito a genitori che ostentavano con gli amici gli otto e i nove dei figli.
E c’è pure il fenomeno opposto: la gara al peggio. C’è l’alunno bravo che decide di non studiare più perché i compagni lo sfottono e lo chiamano secchione o sfigato, perché è figo strappare un quattro che poi passa a sei a fine anno e tanto si viene promossi lo stesso.
Questa è la Scuola che la società ha prodotto.
Ora, ai ragazzi della petizione, direi: esigete piuttosto, dai vostri insegnanti, lezioni di sempre maggior valore e spessore, che vi mettano in condizioni di affrontare prove serie, rifuggite da ciò che è a buon mercato, pretendete che qualcuno vi insegni a volare alto, perché fuori dalla Scuola nessuno vi regalerà niente, anzi sarete sfruttati da questo mondo massificante come robot senza nome.
L’unico mezzo che può darvi dignità è la conoscenza.