Domenica 12 Dicembre
Sono a Roma. Avevo voglia di tornare nella città dove ho vissuto. Sarà che, a volte, ho bisogno di grandi spazi per ritrovarmi. C’è il sole che spacca i pensieri, mentre zigzago (sembra la canzone di Daniela Goggi quando cantava A zigo-zago …) tra la gente. Ho bisogno anche di queste piccole memorie per stare bene.
Mi ritrovo in una piazza che fiancheggia le mura di Città del Vaticano e riconosco la voce dell’Onorevole Meloni che su un megaschermo troneggia, mentre all’interno di un’ampolla di plastica intrattiene i presenti. Fuori c’è l’esercito che regola gli ingressi.
Potrebbe esserci chiunque a parlare, oggi sono in una pausa mentale e non presto attenzione a ciò che sta dicendo. Imbocco una strada che mi porta all’accesso laterale nella piazza più nota al mondo. In poco tempo mi ritrovo dinanzi al colonnato di Piazza San Pietro e alla maestosità della medesima Chiesa.
L’albero allestito attira i presenti, ancora di più il presepe che arriva dal Perù. Siamo intorno alla barriera per osservarlo da vicino. Non c’è molta gente, forse molti sono a mangiare qualcosa considerando l’orario.
Non mi convince questo presepe, non emana calore, se così si può dire. È sgargiante nei colori, rimanda a territori distanti dal nostro immaginario, come i figuranti che raccontano di una tradizione distante con sei lama che paiono chiedersi il motivo del loro restare in uno spazio innaturale.
Non voglio criticare senza capire, ma alla fine non si può sempre razionalizzare, è bello anche “sentire di pancia”. E poi, oggi ho voglia di ragionare poco.
La mia pancia è la pancia dei presenti: siamo tutti perplessi e alla ricerca di qualcosa che ci possa riportare alle tradizioni che conosciamo. Siamo quelli che faticano ad abituarsi alle ultime rappresentazioni presepiali degli ultimi anni, forse, e dovremmo uscire dal provincialismo che impedisce di aprirsi alle nuove realtà che accettiamo o subiamo con indifferenza. Poi, una signora sbotta in un “A me non mi piace” e mi sento meno sola nelle sensazioni che provo. Dietro di me, un papà con un bimbo in braccio che indica ripetutamente al piccolo la Madonna e San Giuseppe senza riuscirci, perché il figlio continua a chiedere “dov’è la Madonna?”.
L’interrogativo del bambino è anche il mio, non riesco a riconoscere la Madre di Gesù in quella figura femminile. È in quel momento che osservo l’albero posto accanto alla scenografia, e mi pare di sentire tutta la sua rassegnazione nei rami appesantiti dalle sfere scelte come unica decorazione. Suggestioni. Sì, non c’è altra spiegazione.
Mi sovviene l’immagine del presepe allestito in una vetrina di uno dei tanti negozi posti in successione nella zona di San Pietro, dove la Natività in tutta la sua maestosa essenzialità ricorda nella terza Domenica d’Avvento l’arrivo del Salvatore. Sembra quasi che quest’anno la nascita del Redentore non rappresenti l’evento tanto atteso nel mondo.
Lascio la piazza e mi dirigo verso via della Conciliazione, dove m’imbatto in cartelloni che promuovono iniziative sulle cui locandine appare un presepe messicano. Signori, ma siamo a Roma o dove?
Nel frattempo, cerco di condividere il filmato del presepe appena ripreso e, dopo qualche tentativo riuscito, compare la scritta sul mio cellulare che vieta di continuare in quella che è un’operazione pacifica. L’algoritmo di facebook si fa sentire e dissente, suggerendomi di smettere di continuare le pubblicazioni del video innocuo. Non rispetto le indicazioni e facebook mi blocca il tempo necessario per rinsavire.
Il sole nel cielo c’è ancora, ma non mi spacca i pensieri com’è accaduto prima. Ripenso alle indicazioni ritirate dalla Comunità Europea appena qualche giorno prima, e giungo alla conclusione che il Natale è sempre un po’ meno Natale e sempre più un’occasione per fare semplicemente festa.
Alzo gli occhi al cielo, come faccio spesso, quando ho bisogno di guardare oltre il mio naso, e l’azzurro mi avvolge. All’improvviso, il suono di un violino addolcisce l’asprezza.