16 gennaio 1969: lo studente cecoslovacco Jan Palach si dà fuoco in Piazza San Venceslao a Praga. Di confessione protestante, Jan Palach era uno studente iscritto alla facoltà di Filosofia dell’Università Carlo IV di Praga. Seguì con interesse la stagione riformista della Cecoslovacchia di Dubcek e Svoboda, ribattezzata “Primavera di Praga”. Una politica che venne repressa militarmente dalle truppe dell’Unione Sovietica e degli altri Paesi del Patto di Varsavia.
Jan Palach e alcuni suoi amici decisero di manifestare il loro dissenso attraverso una scelta estrema: darsi fuoco in piazza. Erano cinque e Palach fu il primo. Nel tardo pomeriggio del 16 gennaio 1969 il giovane si recò in piazza San Venceslao, al centro di Praga, e si fermò ai piedi della scalinata del Museo Nazionale; si cosparse il corpo di benzina e appiccò il fuoco con un accendino. Fu soccorso da un tranviere che spense le fiamme con un cappotto.
Ai medici Jan Palach disse di essersi ispirato ai monaci buddhisti del Vietnam. Morì dopo tre giorni di agonia in ospeale alle ore 15.30 del 19 gennaio 1969; si rivelarono letali le complicazioni dovute alle gravi ustioni riportate. Jaroslava Moserová, il medico chirurgo plastico che lo operò, disse: “Sapeva che stava per morire, e voleva che la gente capisse il motivo del suo gesto: scuotere le coscienze e mettere fine alla loro arrendevolezza verso un regime insopportabile“. Al suo funerale, che si tenne il 25 gennaio, parteciparono 600.000 persone, provenienti da ogni parte della Cecoslovacchia.
Eroe per una generazione di studenti e militanti, sprovveduto per i politici filosovietici e per chi continuava a credere nel paradiso dei lavoratori. L’autoimmolazione di Jan Palach non fu un suicidio, ma un gesto per risvegliare il popolo dalla disperazione in cui è caduto e ridestare le coscienze delle persone che avevano vissuto l’esaltante esperienza di libertà della Primavera di Praga, seguendo Dubcek e i riformisti e che, dopo l’invasione, erano scivolate nel torpore della “normalizzazione” sovietica. Il giovane studente cecoslovacco aveva visto con i suoi occhi la privazione totale di libertà e umanità del comunismo sovietico e aveva conosciuto anche la ribellione dei figli contro i padri del ’68 francese, contestandola e proponendo un cammino comune verso la libertà e la storia. Jan amava la sua patria e volle dare corpo al suo desiderio di vederla liberata da un’ingiusta oppressione, offrendo, da martire, la sua la stessa vita.