26 gennaio 1994. Muore Domenico Rea.
La narrativa di Rea si può ritenere in alcune sfumature neorealista, anche se i suoi libri contengono testimonianze argute e implacabili che sotto lo stimolo dell’onestà intellettuale si sforzano di trasmettere senza malizie stilistiche ciò che Napoli stava subendo negli anni della ricostruzione postbellica.
Come il neorealismo cinematografico e come alcune arti figurative, il suo stile interpreta la realtà nuova emersa dalla guerra. Più tardi Rea tornerà su questo periodo con un giudizio non troppo lusinghiero «di quel lavoro dal tono collettivo, che ebbe inizio nel lontano dopoguerra» scrive nel libro Le Ragioni narrative (1960) «oggi restano sparsi fuochi, su vaste zone coperte di cenere». In realtà lo sforzo c’era stato, non folcloristico né politico, ma umano.
Scrittore irrequieto rispetto ai gruppi di intellettuali napoletani contemporanei, Rea visse da isolato senza poter essere assimilato a nessuna corrente letteraria, lontano dall’impegno politico militante per mancanza di illusioni sulla “natura umana” ma non per questo, scrivendo quasi sempre temi di disagio ambientale, meno impegnato nella denuncia delle piccole e grandi ingiustizie quotidiane.
Rea nasce a Nocera Inferiore (Salerno) nel 1921 dove passa l’infanzia e l’adoloscenza per stabilirsi, dopo un breve soggiorno a Milano, definitivamente a Napoli. Conclusi gli studi regolari, dedica molto del suo tempo a collaborare ai giornali locali, osservatore partecipe e attento ai probblemi della sua città. La sua facilità nel narrare lo portano giovanissimo a scrivere i primi racconti che vengono pubblicati tra il 1941 e il 1943 nel giornale universitario di Salerno; questa sua precoce propensione all’inchiesta descrittiva gli sarà molto utile nei romanzi e nelle collaborazioni che avrà in futuro nella sua maturità di uomo e scrittore affermato, con vari quotidiani e programmi televisivi tra i quali basta ricordare la RAI, La Repubblica e Il Mattino. La Nocera tanto cara, chiamata con il vezzeggiativo Nofi e la città partenopea diventano fin dagli inizi della sua carriera di scrittore fonte d’ispirazione per le sue opere narrative. Dopo il suo primo racconto La Figlia di Casimiro Clarus pubblicato sulla rivista Mercurio 1945 quasi dimenticato dalla bibliografia ufficiale, Rea ottiene (anche con un certo clamore) l’attenzione sia della critica sia del pubblico con i racconti Spaccanapoli del 1947, dove con grande acume descrittivo fa emergere una immagine di un meridione d’Italia sospeso fra il grottesco e il tragico, unendo con grande abilità stilistica realismo crudo e fantasia illimitata d’immagini poetiche, raggiungendo una notevole profondità espressiva. Dopo questo libro pubblica nel 1948 per il teatro Le Formicole rosse; anche in questa opera minore esprime con vigorosa immediatezza le passioni, i furori e le speranze del proletariato napoletano; con la raccolta dei racconti Gesù fate luce del 1950 (con la prefazione dell’illustre critico Francesco Flora) l’anno dopo vince il Premio Viareggio. Rea esplora in quel periodo anche temi memorialistici come in Ritratto di Maggio resoconto nostalgico di un anno di scuola, e Una vampata di rossore (1959) un romanzo in cui l’azione si svolge nell’immaginaria e sempre cara Nofi, e Diario napoletano (1971); scrive anche delle poesie raccolte in L’altra faccia (1965). Dopo anni di silenzio nel 1985 pubblica Il Fondaco nudo, ancora una raccolta di racconti che, oltre a confermare una rara coerenza , dà prova di un’ulteriore maturazione stilistica. Nel 1992 torna con Ninfa plebea la storia dell’ “educazione sentimentale” della adolescente Minuzza nel paesino immaginario di Nofi, un romanzo crudo ed essenziale, col quale vince nel 1993 il Premio Strega, e in cui lo scrittore con una rinnovata capacità creativa indirizza verso un erotismo sospeso tra realismo ed elaborazione fantastica .