Sembra che Palazzo Montecitorio abbia allestito un ospedale da campo dopo la trionfale giornata di sabato durante la quale è stato rieletto, a furor di peones, Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. L’intero gruppo dirigente dei partiti ha avuto bisogno di cure immediate.
Il più grave è subito apparso Matteo Salvini ricoverato d’urgenza in una piccola terapia intensiva allestita nella prima infermeria al lato sinistro dell’aula. Era la sua grande occasione dopo il ritiro della candidatura di Berlusconi. Doveva dimostrare a sé stesso e a tutti la sua grande capacità di guida della coalizione di centro-destra. E’ caduto subito nella trappola della sinistra che, riconoscendogli il ruolo di maggioranza relativa, gli ha sollecitato nomi di uomini e donne.
Il povero Matteo ne ha sfornato sfusi e a pacchetti esponendo persone di qualità alle puntuali bocciature del campo di Agramante. Gettò nella mischia anche il Presidente del Senato nel tentativo di mostrare la forza delle proprie falangi. E fu un altro disastro. Ebbe disordini motori con mobilità disordinata entrando e uscendo dal Palazzo, dichiarando e proponendo di tutto e di più salvo poi arrendersi al democristiano Mattarella in odio al democristiano Casini.
L’incubo dei democristiani lo aveva sfinito. Intanto Giorgia, la sua maggiore alleata, dopo un tentativo di blitz ripristinando l’asse sovranista Conte-Salvini-Fratelli d’Italia subito bocciato dagli altri, ebbe una crisi di nervi urlando e minacciando il povero Matteo già sottoposto a cure urgenti in terapia intensiva.
Ma se Sparta piangeva Atene non rideva. Mentre Luigi Di Maio, nell’ombra, riceveva diversi candidati sottotraccia dando a tutti rassicurazioni a cominciare da Mario Draghi, Giuseppe Conte aveva crisi allucinatorie continue per cui le 5 stelle erano diventate 55 e faceva accordi con tutti mentre girava per il palazzo cantando “ Io cerco la Titina, la cerco e l’ho trovata” nel tentativo di candidare una donna.
Dopo una notte piena di incontri fu anche lui ricoverato nell’ospedale da campo dentro Montecitorio pur non essendo parlamentare. Nel frattempo Enrico Letta, frastornato e confuso, abbracciò, cercando serenità, finanche l’odiato amico Matteo Renzi mentre nella notte tra venerdì e sabato, tentando di trovare il bandolo della matassa, ebbero una allucinazione collettiva e videro una folla di parlamentari, deputati e senatori, marciare in fila per quattro issando manifesti con l’effige di Sergio Mattarella.
Tentarono di scappare da quelle allucinazioni ma inciamparono e finirono anche loro nell’infermeria con contusioni multiple mentre l’aula di Montecitorio votava compatta Sergio Mattarella insieme al suo paggetto, Carlo Nordio anonimo veneziano tanto caro alla svenuta Meloni.
Mentre lo staff medico era impegnato a soccorrere i capi politici di una sistema franato arrivò una telefonata da Palazzo Chigi “il premier Mario Draghi ha grandi vertigini e vomito, avete un posto o un medico da mandarci?”. “Mettetelo steso e lasciatelo per un’ora immobile e vediamo se passa”, fu il consiglio del Capo staff medico di Montecitorio, “e se le vertigini aumentano dategli una spremuta di arance siciliane, quelle belle grandi e sanguigne”.
E così fecero. Cinque ore dopo tutti si sentivano un po’ meglio. Draghi si era già messo seduto, Letta e Conte zoppicavano ma camminavano lentamente mentre Salvini rimaneva con prognosi riservata. La grande armata politica che pensava di guidare il Paese verso nuovi lidi in soli 6 giorni e 5 notti fu sconfitta dall’onda lunga dell’eternità democristiana.