II panni sporchi si lavano in famiglia. È questo il senso della lettera che il cardinale Luis Ladaria, attuale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (l’ex sant’Uffizio), nel febbraio 2015 inviò al cardinale Philippe Barbarin, allora vescovo di Lione, che chiedeva come comportarsi con don Bernard Preynat, sul cui conto erano arrivate in diocesi diverse denunce per pedofilia.
«Questa Congregazione, dopo aver accuratamente studiato il caso di Preynat, ha deciso di affidarvi il compito di prendere gli adeguati provvedimenti disciplinari, evitando scandali pubblici», si legge nella lettera di Ladaria, riportata ieri sul quotidiano Domani da Emiliano Fittipaldi. «Fermo restando – conclude la lettera – che in
queste condizioni non può essere affidato un altro ministero pastorale che includa eventuali contatti con i minori».
Barbarin obbedì, e tutto rimase nascosto ancora per un anno. Nel 2016, infatti, in seguito alle denunce penali di alcune vittime, Preynat fu processato e nel 2020 condannato a cinque anni di reclusione per abusi sessuali su minori. Barbarin invece – che nel marzo 2020 si è dimesso da vescovo -, dopo essere stato condannato in primo grado per omessa denuncia, l’anno scorso è stato definitivamente assolto. Quella a Barbarin non è stata l’unica lettera scritta da Ladaria, nel 2008 nominato da papa Ratzinger segretario della Congregazione per la dottrina della fede, promosso prefetto dello stesso dicastero nel 2017 da papa Francesco, il quale l’anno successivo lo ha creato cardinale. Ve ne è un’altra pressoché identica, datata 2012, inviata all’allora vescovo di Lucera (Foggia), a proposito di don Giovanni Trotta, dimesso dallo stato clericale perché pedofilo, ma con la raccomandazione che la destituzione del prete restasse in penombra, per non «generare scandalo ai fedeli». Così accadde anche stavolta, ma le conseguenze della consegna del silenzio furono ben più gravi: da laico, Trotta iniziò ad allenare una
squadra di calcio giovanile e commise abusi sessuali su diversi piccoli atleti, venne denunciato dalle famiglie di alcune vittime e due anni fa è stato condannato in appello a venti anni di carcere.
Le lettere «fotocopia» di Ladaria testimoniano che non si tratta di due casi, ma di una prassi che vuole coprire i preti pedofili per difendere l’istituzione. Non quindi un «sistema Ladaria», ma un «sistema vaticano» che, come rileva Luis Badilla, direttore del Sismografo (sito di informazione indipendente, ben accreditato in Vaticano), obbedisce a un articolo del Codice di diritto canonico: «Per una trasgressione occulta non si imponga mai una penitenza pubblica». A questo punto papa Francesco, se vuole davvero dare concretezza alla «tolleranza zero»
nei confronti della pedofilia clericale, non può non prendere tre decisioni: rimuovere
Luis Ladaria, modificare il Codice di diritto canonico e imporre l’obbligo di denuncia alle autorità civili dei preti pedofili (per scongiurare nuovi casi Trotta). In Italia intanto qualcosa si muove. Se la Cei è ferma nel
non volere una commissione di inchiesta indipendente sulla pedofilia (come quella della diocesi di Monaco che ha messo sotto accusa Ratzinger, o quella della Chiesa francese), prendono l’iniziativa dal basso le associazioni che martedì prossimo daranno vita al Coordinamento contro gli abusi nella Chiesa cattolica. «L’Italia
è rimasto praticamente l’unico Paese dove non si è nemmeno pianificata un’indagine indipendente sugli abusi», spiega al manifesto Ludovica Eugenio, direttrice dell’agenzia di informazioni Adista, promotrice dell’iniziativa (insieme, fra gli altri, a Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne, Noi siamo Chiesa e le
associazioni delle vittime L’abuso e Comitato vittime e famiglie). «Poiché tutto fa ritenere che il numero di casi in Italia sia molto elevato, un’indagine indipendente è urgente e necessaria come primo passo di
un cammino di giustizia soprattutto nei confronti delle vittime, le cui vite sono devastate anche dall’omertà e dagli insabbiamenti».