Al termine di un’ “udienza fiume” la Procura di Napoli ha chiesto 23 anni e 11 mesi di reclusione per l’imprenditore svizzero Stephan Ernest Schmidheiny, sotto processo davanti alla Corte di Assise di Napoli (seconda sezione, presidente Concetta Cristiano) per la morte di otto persone (sei operai e due familiari di laboratori) determinato, secondo i pm Giuliana Giuliano e Anna Frasca, dalle gravi malattie sviluppate per la prolungata esposizione all’amianto subìta non solo nello stabilimento Eternit di Bagnoli ma anche nelle loro abitazioni, dove venivano lavate le loro tute da lavoro.
“Ciò che è emerso dalla lettura degli atti delinea chiaramente il quadro di una condotta di scellerato perseguimento del profitto”, ha detto l’avvocato Elena Bruno, legale dell’associazione ‘Mai Più Amianto’, costituitasi parte civile al processo in corso a Napoli che vede imputato l’imprenditore svizzero Stephan Ernest Schmidheiny per il quale la Procura di Napoli ha chiesto una condanna a 23 anni e 11 mesi di reclusione. Insieme con l’associazione si sono costituiti parte civile, tra gli altri, anche i sindacati e l’Osservatorio Nazionale Amianto (rappresentato dall’avvocato Flora Rosa Abate). Una testimonianza del fratello dell’imputato come anche quelle di alcuni lavoratori, sono state lette oggi dal pm Anna Frasca, durante la sua requisitoria che ha fatto seguito a quella della collega Giuliana Giuliano. Tra i documenti esposti, estratti dalle prove acquisite dal cosiddetto processo “Eternit uno”, oltre alle lettere riconducibili all’imputato, figura tra le altre, la testimonianza di un operaio che definì il reparto dove lavorava e dove l’amianto veniva trattato: “…il reparto della punizione”.