Il diritto al voto fu in realtà sancito già il 30 gennaio 1945: nella riunione del consiglio dei ministri di quel giorno la maggioranza dei partiti (a esclusione di liberali, azionisti e repubblicani) si disse favorevole all’estensione alle donne del diritto al voto. Così il 31 gennaio 1945 fu emanato il decreto legislativo n. 23 che conferiva il diritto di voto alle italiane che avessero almeno 21 anni. Uniche escluse le prostitute schedate che lavoravano al di fuori delle case dove era loro concesso di esercitare la professione.
Il 10 marzo del 1946 le donne italiane poterono per la prima volta votare e essere votate nel corso di un’elezione. Il decreto sulla loro eleggibilità è il n.74 datato 10 marzo 1946. Da questa data in poi le donne possono considerarsi cittadine con pieni diritti.
Il suffragio femminile in Italia non iniziò infatti con il referendum del 2 giugno 1946 per scegliere tra Repubblica e Monarchia, svolto in contemporanea alle elezioni per scegliere i membri dell’Assemblea Costituente, bensì alcuni mesi prima in occasione delle elezioni amministrative.
Quelle furono le prime elezioni in Italia dalla fine della Seconda guerra mondiale: si votò in 5.722 comuni in cinque tornate, dal 10 marzo al 7 aprile, e in altri 1.383 comuni in otto tornate in autunno, per rinnovare le amministrazioni comunali di tutti i capoluoghi di provincia (tranne Bolzano e Gorizia, dove si votò nel 1948), un tempo governati dai fascisti.