Che brutta giornata, ieri. Non solo sul campo di battaglia. Gli Stati Uniti ormai parlano solo il linguaggio della guerra, Putin la continua, muovendo all’assalto della costa. L’Ucraina esclude ogni compromesso sull’integrità territoriale.
La Russia conta diecimila soldati morti (in Afghanistan erano stati quindicimila, ma in dieci anni), l’ONU registra 925 civili uccisi. I russi scavano trincee e minano le loro posizioni attorno a Kiev, durerà a lungo. A Boris Johnson scappa detto quello che a Washington pensano: “è di enorme importanza strategica, politica, economica e morale che Putin fallisca e che Zelensky vinca». Ingolositi dall’opportunità di sconfiggere non solo l’invasione, ma il regime russo, di sbarazzarsi di Putin. Nessuno che si chieda qualcosa sul dopo, e la Russia non è una Libia qualunque. Nessuno che si interroghi su quanto tempo possa durare, e quante vite costare, e quali contagi provocare. L’Unione Europea sembra una Nato in borghese, i leader sembrano generali, e trattano la questione come se fosse una campagna elettorale. Gli unici a mostrare prudenza sono i generali veri, che conoscono i rischi. Mariupol sembra il trailer dell’Ucraina intera, e nessuno parla di pace.