Con Eugenio Scalfari non esce di scena solo un grande giornalista: a sottolineare il ruolo che egli ha avuto nella trasformazione e modernizzazione del sistema informativo nazionale basterà ricordare le esperienze dell’”Espresso” prima e di “Repubblica” dopo.
Educato alla scuola del suocero, il grande Giulio de Benedetti, e a quella del “Mondo”, Scalfari approderà nel 1963 alla direzione del settimanale che egli stesso aveva contribuito a fondare nel 1955. Con “L’Espresso”, la stampa italiana scopre un approccio all’informazione moderno e orgoglioso della propria autonomia e indipendenza dal potere, la difesa delle quali viene affidato a un inedito (per l’Italia) organo di tutela, ossia il Comitato dei garanti.
L’”Espresso” di Scalfari sarà famoso per alcune grandi inchieste, tra cui quella rimasta storica sul presunto colpo di stato organizzato dal Sifar (dell’inchiesta è autore Lino Jannuzzi) che resterà negli annali del giornalismo anche per le furibonde reazioni suscitate. Qualche anno dopo sarà la volta del nuovo quotidiano, “La Repubblica”, con la quale pure Eugenio Scalfari, fondatore e direttore, assicurerà un contributo fondamentale al modo di fare informazione e giornalismo in Italia.
Come Montanelli, il grande antagonista espressione della cultura liberal-conservatrice, Scalfari si accetta o si respinge; senza poterne negare tuttavia lo straordinario fiuto giornalistico, la capacità di costruire una comunità coesa che è ben di più che non un semplice pubblico di lettori, di orientare il dibattito, di fare la fortuna o segnare il destino di questo o quell’uomo politico.
Nascerà successivamente l’apertura di credito importante al Pci berlingueriano. Di questo mondo, di questa ambizione e dei reiterati tentativi per costruire un’autorevole presenza laica Scalfari resterà uno dei protagonisti. Politico non meno che giornalista, Scalfari non assicurerà mai un’informazione asettica e ipocritamente “equilibrata”, ma darà vita a quello che sarà chiamato addirittura un partito, il partito di “Repubblica”.