Trattasi di una leadership che potrebbe essere sancita il 25 settembre dall’unico organo deputato a verificarla: il popolo costituito in corpo elettorale, sempre che quest’ultimo quanto esprime nei sondaggi, attualmente disponibili, lo confermi poi il giorno delle elezioni. E sarà molto difficile per le altre formazioni della sua coalizione non riconoscerlo, nonostante i tatticismi cui stiamo assistendo. Perché, aldilà dei numeri che vedremo la sera del voto, la Lega ha un leader in caduta da tempo, Forza Italia, oltre all’indubbio eterno carisma di Berlusconi, può mettere in campo solo ventriloqui del Cavaliere.
E d’altronde, se la coalizione di centro destra dovesse raggiungere la maggioranza assoluta in entrambe le Camere, sarà lo stesso presidente Mattarella a porre il sigillo alla prima premier donna della Repubblica. Meloni, da due anni presidente dell’ECR, lo European conservative and reformists party, ha una straordinaria occasione per anticipare la scelta di integrare il governo con personalità (quanto di meglio – si presume in area moderata – può offrire il Paese) in grado di supportarla nella complicata azione di governo. Fratelli d’Italia ha attualmente poco più di 50 parlamentari, che potrebbe anche triplicare; al contrario degli alleati del polo di centro destra, Lega e Forza Italia, che vedranno ridotto il numero degli attuali deputati e senatori. Quindi Giorgia Meloni, una volta riconosciuta ai propri politici e militanti la giusta quota di candidature, avrebbe ampi margini di manovra per inserire nelle proprie liste elettorali molte delle personalità cui sta pensando, immaginiamo provenienti dalla società civile, dall’impresa, dall’università, dalle magistrature e dall’alta amministrazione dello Stato.
Dando così corpo e sostanza intellettuale ai programmi e alle scelte annunciate; interpretando al meglio la sua carica di presidente del partito dei Conservatori e progressisti europei, di cui fece parte anche un’altra donna volitiva e determinata, Margaret Thatcher, che governò il Regno Unito tra il 1979 e il 1990, con il supporto di molti intellettuali e accademici inglesi, a cominciare dal think tank liberale rappresentato dall’Institute of Economic Affairs di Londra. Insomma Giorgia, o adesso o mai più.