All’inizio del primo secolo d.C. la città di Nuceria era divenuta a pieno titolo una città romana, anzi, per la sua bellezza e complessità, era divenuta una piccola Roma trasferita in Campania. L’abile politica delle antiche generazioni nucerine aveva accolto, a protezione della città e dei suoi abitanti, non solo tutte le divinità romane ma anche i loro usi, costumi e tradizioni. I Nucerini, infatti, ebbero un forte impulso per le festività romane, cioè i giorni di festa celebrati in onore di una certa divinità o ricorrenza religiosa, come ad esempio le Vinalia che adesso accenneremo.
Le Vinalia erano feste celebrate in onore di Giove e, subito dopo, di Venere. Le feste vinali erano festeggiate due volte l’anno, cioè il 23 aprile (Vinalia priora) e il 19 agosto (Vinalia altera o rustica) come ci conferma Plinio il Vecchio nel libro XVIII paragrafo 287 della sua Naturalis Historia: “Vinalia priora, quae ante hos dies sunt IX calendas maii degustandis vinis istituta”, “La prima festa dei Vinalia, che fu istituita il nono giorno prima delle calende di maggio, per la degustazione dei vini…”. E al paragrafo 289 dice: “…Vinalia altera, quae aguntur a. d. decimumtertium calendas septembris”, “…la seconda festa dei Vinalia, che si celebra il quattordicesimo giorno prima delle calende di settembre”. La Vinalia priora e la Vinalia altera o rustica erano feste separate, dunque, e il termine rustica stava a indicare che i festeggiamenti avevano luogo in campagna a differenza di priora che si svolgevano in città.
La Vinalia priora del 23 aprile era celebrata in onore della vendemmia dell’anno precedente, fornendo così un’opportunità per banchettare e bere. La Vinalia rustica era celebrata il 19 agosto e in quell’occasione il flamen Dialis, il sacerdote addetto al culto di Giove, sacrificava appunto un’agnella a Giove per propiziare l’abbondanza della vendemmia in corso come racconta Varrone nel suo De lingua latina, VI, 16: “Nam flamen Dialis auspicatur vindemiam et ut iussit vinum legere, agna Iovi facit, inter cuius exta caesa et porrecta flamen primus vinum legit”, “Il flamen Dialis dà ufficialmente inizio alla vendemmia e appena impartisce l’ordine di cogliere l’uva, sacrifica un’agnella a Giove, e fra il taglio delle sue viscere e la loro offerta coglie per primo dell’uva”. Le origini mitiche di questa festività, sono narrate da Ovidio nei Fasti (IV, 861-900). Secondo l’autore era alla guerra tra Enea e Turno, re dei Rutoli, che si doveva far risalire la nascita di quest’antica cerimonia. Mentre Turno decise di ingaggiare il temibile capo etrusco Mezenzio, promettendogli in cambio metà del vino ricavato dalla prossima vendemmia, per vincere la battaglia; Enea si rivolse a Giove, per la vittoria, promettendogli i frutti della prossima vendemmia. Come si può intuire, fu quest’ultimo ad avere la meglio e, proprio al momento della raccolta da donare alla divinità per onorare il patto, furono istituite per la prima volta le Vinalia. Per i Romani, i festeggiamenti delle Vinalia erano una delle loro tradizioni più importanti, e per quale ragione lo fu anche per i Nucerini?
I Nucerini erano grandi produttori di vino pregiato, che era esportato nel resto dell’Impero, è verosimile, dunque, che le Vinalia fossero delle festività molto attese non solo per ringraziare la divinità ma anche per pubblicizzare il loro prodotto.
Il commercio del vino nel primo secolo d.C. aveva assunto notevole importanza nella vita quotidiana dei Nucerini. Infatti, nelle ville rustiche sparse nelle campagne circostanti fino a Pompei, cioè le ville degli aristocratici di Nuceria che oltre alla parte residenziale avevano anche quella produttiva, molto abbondante era la produzione della rinomata qualità del vino in particolare della specie Murgentina. Questa vite deve il suo nome alla città siciliana Morgantina e che nei dintorni di Pompei ebbe uno sviluppo talmente interessante da cambiare il nome originario in Pompeiana. Le varietà coltivate in epoca romana in Campania sono descritte e classificate nel Naturalis Historia di Plinio il Vecchio e nel De re rustica di Columella. I due autori danno un giudizio abbastanza univoco sulla qualità dei vitigni coltivati in Campania e li classificano nelle seguenti tre classi: (a) varietà di primo merito: sono i vitigni nobili che forniscono i vini dei vigneti più famosi (Amineae e Nomentanae); Plinio all’interno di questo gruppo individua i vitigni indigeni e i vitigni importati; (b) varietà che unisce una buona produttività a una discreta qualità (Murgentina minor, Argitis, Graecula); (c) varietà molto produttive, ma di scarsa qualità (Scirpula, Horconia). La Valle del Sarno e i territori attorno al vulcano erano piantati con altri due vitigni, la Vennuncola o Numisiana, che dava un vino robusto ma non di particolare qualità e che era talvolta usata come uva da tavola, e la Murgentina o Pompeiana di qualità superiore, vitigno di origine siciliana sulla cui qualità i pareri erano discordi.
La rinomata qualità del vino prodotto a Nuceria, si evince anche da questa iscrizione murale: “Ga(ius) Sabinius Statio plurima(m) sal(utem)/Viator Pompeis pane(m) gustas/Nuceriae bibes”, “Gaio Sabinio (dice) tanti saluti a Stazio. Viandante, a Pompei gusti il pane a Nocera berrai”(CIL IV 8903). Non sappiamo chi fosse l’autore ma questo Gaio Sabinio, che manda tanti saluti a Stazio, raccomanda di gustare il pane a Pompei e di bere bene, ovviamente il vino, a Nuceria. Sembra quasi che lo scopo di questa iscrizione è di comunicare al viandante informazioni ‘turistiche’ sui luoghi più consigliati per mangiare e bere nel modo migliore, una locandina pubblicitaria, insomma, di qualche agenzia turistica ante litteram per promuovere e valorizzare alcune città della Campania.