11 agosto 1892, in quel di Cerignola veniva al mondo Giuseppe Di Vittorio. 130 anni dopo, la sua lezione, da sindacalista sempre umile e mai simil borghese, resta pura e intatta.
La vita di Giuseppe Di Vittorio ha i caratteri del romanzo, come molte delle vite che hanno caratterizzato la storia del movimento del lavoratori tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, vite di uomini piegati dalla fatica, assillati dall’idea di un mondo migliore in cui i diritti degli umili non fossero calpestati, decisi a uscire dall’ignoranza di una società che li condannava a quello stato attraverso una scuola basata sul censo, con la sola forza di volontà. Straordinari autodidatti che, come ebbe modo di ripetere in molti suoi interventi Pietro Nenni, avevano avuto una sola grande scuola: la strada e l’esigenza di guadagnarsi il pane sin dalla più tenera età. La Puglia era un luogo in cui il confine tra le classi era netto. Un’epopea dell’eroismo, del coraggio e della forza non solo italiana ma di quella folta schiera di oppressi che non accetta in silenzio i soprusi. Nei suoi discorsi che hanno fatto il giro del mondo e affascinato generazioni di sognatori, c’è il segno della sua terra, delle sue origini. In quell’accento foggiano marcato c’è il rumore di quelle lotte che infiammarono il tavoliere e che fecero di lui il sindacalista della motocicletta rossa. Nelle sue pause e nel suo tono c’è la forza dirompente del rivoluzionario, la dignità del deputato, la chiarezza la responsabilità del segretario generale del sindacato unitario.
Nella sua oratoria c’è la sacralità che spetta a uno dei padri di questa Repubblica che ha tanto bisogno di guardare al passato per superare questo presente incerto.
Giuseppe Di Vittorio morì agli inizi di novembre del 1957, era diventato un riferimento mondiale del sindacalismo. Il suo accento marcato aveva girato il mondo ed aveva spinto alla lotta milioni di lavoratori.
Il suo funerale fu un evento globale, tra i tanti partecipanti c’era anche Pier Paolo Pasolini che poi scrisse di aver visto “un vecchietto si guarda intorno, intimidito, e dice a un suo compagno, che gli è accanto silenzioso: “Vengono spontanei….”. E guarda, umile, la folla degli uguali a lui”.
Quell’umile folle degli uguali che invadeva Roma piangeva chi aveva portato in giro per il mondo il loro sogno disegnandolo e rendendolo possibile. Di Vittorio rappresenta una figura da ricordare, rispolverare e riscoprire proprio ora in una fase dove torna palese il conflitto tra profitto e salute, tra lavoro e capitale, tra sfruttamento e libertà, tra “ceti privilegiati” e lavoratori.
Ecco cosa disse per il Primo Maggio del 1955, parole che risuonano di fortissima attualità ancora oggi.
Amici e compagni lavoratori d’Italia,
in occasione del Primo Maggio la vostra grande Organizzazione unitaria la Confederazioni Generale del Lavoro invia a tutti voi e alle vostre famiglie il suo saluto fraterno.
Col ritorno del maggio, nel pieno rinnovarsi della natura, si ravviva la nostra fede nella conquista di un destino migliore che garantisca a tutti gli italiani lavoro e stabilità di vita, benessere e tranquillità.
Il lavoro eleva gli uomini e li affratella tutti al di sopra di ogni frontiera. E perciò che il Primo Maggio è la giornata in cui i lavoratori di tutti i paesi, di tutte le lingue, di tutte le razze, riconfermano il patto della loro solidarietà e ribadiscono il loro impegno storico di marciare uniti sulla via della propria emancipazione sociale che libererà tutta la società da ogni forma di sfruttamento selvaggio dell’uomo su uomo e permetterà a tutta l’umanità di conquistare livelli superiori di giustizia, di benessere, di libertà, di pace e di fratellanza tra tutti i popoli della terra.
Il Primo Maggio è anche giornata di rassegna delle forza organizzate del lavoro, è giornata in cui i lavoratori fanno il bilancio, anche il bilancio dei risultati conseguiti dai lavoratori italiani nel corso dell’anno può definirsi positivo, ma siamo ben lontani dalla conquista di un livello di vita soddisfacente per i lavoratori italiani. La disoccupazione, che affligge tante e tante famiglie italiana, segna ancora un aumento. Di questa situazione approfittano alcuni ceti fra i più privilegiati del nostro Paese per instaurare nei luoghi di lavoro una disciplina dura e ingiusta fatta a base di discriminazioni e di rappresaglie allo scopo di dividere e scoraggiare i lavoratori onde sottoporli ad uno sfruttamento sempre più inteso e conseguire maggiori profitti.
In questo Primo Maggio che coincide con il decennale della glorioso resistenza italiana, i lavoratori rivendicano altamente il libero esercizio delle libertà sindacali e dei diritti democratici in ogni azienda.