Avevo scritto le mie emozioni il terzo giorno dopo il parto a settembre e sinceramente non volevo pubblicarle, ma alla luce di ciò che è accaduto a Roma mi sento moralmente chiamata in causa.
Mio figlio non è morto, come neppure i due precendenti, per puro caso.
Anche io li ho allattati sia al seno che col biberon, a letto, li ho dovuti cambiare per i rigurgiti continui e i loro bisogni frequenti, con i punti freschi sulla pancia, il cateterino pieno di sangue che risaliva dalle vene e che mi dava un fastidio bestia col bambino in braccio, tra l’altro nato di quasi 4 kg.
Una delle mie compagne di stanza, 15 anni più giovane di me, la prima notte ha chiesto veementemente ed ottenuto che le tenessero il neonato al nido perche doveva riposare. Io non l’ho fatto, non perché non ne avessi bisogno, ma perché dopo aver suonato il campanellino per far notare che il filo del lavaggio era pieno di sangue mi è stato risposto di non disturbare. Ho avuto paura di chiedere di essere aiutata, ma soffrivo e mi sono addormentata come la mamma di Roma col neonato vicino perché ero distrutta e da quel letto orrendo non riuscivo ad alzarmi per il dolore atroce, da sola. Avevo fatto anche due travagli lunghissimi e due parti dolorosissimi con episiotomia ed emorragia precedentemente, ero più giovane, ma almeno le prime ore ho avuto mia madre accanto.Il Covid ha eliminato anche questa salvifica possibilità. Perché credetemi, da sole, dopo un cesareo, dover alzarsi quasi subito, fare la pipì su quel wc senza sedile, scomodissimo e incrostato è uno dei ricordi peggiori della mia vita, ma anche alzarsi continuamente dal letto perché si sa che i neonati piangono tanto e spesso e in quelle condizioni davvero viene voglia di buttarsi giù dalla finestra.
Mio figlio non è morto soffocato solo per puro caso. Violenza ostetrica, solitudine, mancanza di tatto: ecco cosa genera persino una tragedia grande come quella di Roma.
Non è colpa di quella madre, posso capire come si sia sentita e non deve capitare mai più, per questo devo pubblicare le mie memorie.
Ostetricia e nido dell’Umberto I
Dopo tre giorni così mi metto davvero le mani in fronte. E quando credevo che fosse finita non arriva la ciliegina sulla torta?
Pianti e strilli di neonati indemoniati, lamenti di mamme per il cesareo, per il travaglio, per l’allattamento doloroso, infermiere disumane peggio di Crudelia Demon,, ostetriche che a Jack lo squartatore gli fanno un baffo, cessi del Vietnam e letti da fachiro: io e mio figlio non potremmo restare in quest’inferno un giorno di più, pena il suicidio o la pazzia assoluta. Se a questo aggiungiamo i punti che fanno un male bestia, le notti “ chiare chiare “, il caldo insopportabile di queste stanze dell’orrore, le zanzare, la scostumatezza di qualche inserviente ( una che somigliava al Gabibbo ieri sera m’incrocia nel corridoio e mi fa: sembri Andreotti….e di rimando la capra della sua collega…replica: No, più …la Meloni va bene? E sghignazza come un’ ebete senza un domani ) operai che lavorano di notte accanto alla tua stanza parlando una lingua scimmiesca, allora si raggiunge davvero l’apoteosi suprema. Non ricordo di aver trascorso dei giorni più pesanti sia fisicamente che psicologicamente in tutta la mia vita. Sarà anche che con l’età che avanza non si sopportano più tanti disagi in una sola volta, sarà che anche la pazienza di una terzipara attempata ha un limite, sarà che mi è passata pure la voglia di chiudere gli occhi, ma sfido chiunque a non avere la pressione alta dopo cotanto strazio.
Insomma sapevo che non sarebbe stato facile, che non sarei venuta in una SPA a rilassarmi, ma tante cose che non vanno tutte assieme non le avevo mai viste. Posso capire fino a un certo punto la mancanza di tatto, di educazione e di rispetto da parte degli operatori sanitari di cui già serbavo un doloroso ricordo. Tuttavia non rammentavo di avere tanta pazienza con il prossimo o forse non avevo ancora sondato il mio livello di sopportazione del dolore e della commiserazione della gente.
In una sola parola direi : Basta! Ho raggiunto il limite massimo, devo scappare via di qui, tornare a casa mia che ora mi appare come un’oasi di salvezza, un rifugio sicuro, un porto in cui riposare le membra addolorate e la mente afflitta e stravolta dalla stanchezza.
Non è il parto in sé che è terrificante, del resto questo è il terzo e l’ultimo, ma davvero lo è tutto ciò che devi sopportare assieme al dolore fisico. Neppure lo scarico del bagno funziona, per non parlare della tazza incrostata su cui neppure un reduce del Vietnam oserebbe sedersi per fare i propri bisogni, figuriamoci una donna martoriata dal cesareo! Un reparto che dovrebbe essere pulito, curato, con personale paramedico per lo meno umano e ben educato, ridotto in uno stato così pietoso che non si vede l’ora di scappare. Non me ne vogliano quei medici e gli anestesisti che lavorano con passione e con coscienza e non solo per soldi e per comprare case e barche al mare. Poche, pochissime infermiere ed ostetriche hanno dimostrato di svolgere il proprio lavoro con amore e rispetto della persona, la maggioranza di esse ti fa pesare anche l’aver voluto partorire lì. Nessuna forma di empatia, di solidarietà e di comprensione del dolore.
Insomma, mai detto più calzante di questo: povero chi cade e chiede aiuto in un posto del genere.
Vogliamo parlare delle dimissioni? Nel momento in cui eravamo già pronti a tagliare la corda e dimenticare quest’esperienza ( però ripeto, ci sono anche dottori ed infermiere che lavorano con passione e senza pensare solo al Dio denaro, pochi, ma esistono ) mi tocca attendere, non si sa quanto tempo, il foglio del pediatra e restando per giunta a stomaco vuoto perché ormai già risultante fuori dal nosocomio.
Insomma oltre al danno la beffa! Dolorante per un intervento chirurgico appena affrontato, con un neonato al seguito che ha i suoi tempi, senza chiudere occhio da tre giorni, persino morta di fame e di sete! Vergogna! Non solo non avete rispetto per le puerpere (cesarizzate!!!) a cui è stato addossato l’intero carico del figlio in rooming in, ma fino alla fine mantenete la stessa condotta di diniego dei LEA, LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA.
Il primo che mi dice: “Hai voluto la bicicletta?” … lo sparo, dico sul serio.
Annalisa Capaldo