Riproponiamo l’articolo di Ermanno Corsi apparso sul Roma di martedì 31 gennaio 2023 all’interno della rubrica Spigolature
Sono in tanti ad affermarlo, ma uno solo non sente. Se il peggior sordo è chi non vuol sentire, ebbene: non si esagera nel definire Roberto Calderoli (che scalpita per la sua “autonomia differenziata”), il peggio del peggio. Oggi la nuova bozza, più volte rimaneggiata dopo tre “andate a vuoto”, verrà portata in Consiglio dei Ministri. L’intrepido leghista, la cui caparbietà sarebbe degna di miglior causa, ha stabilito del tutto autonomamente “tappe forzate” per “chiudere la partita” entro il 2023. Indifferente a ogni richiamo, gli è stato ricordato che da ottant’anni “Maico vince la sordità” (apparecchi acustici per chi ha problemi di udito). Ma visto che i guai non vengono mai soli, nota caratteristica del “famoso riformatore” è anche quella di essere un bugiardo visto che stanno andando a vuoto le tante promesse di una larga consultazione prima di decidere che fare. Sembra di sentire la voce di Eduardo quando affermava che “le bugie hanno le gambe lunghe…”. Sì, in teatro è così. Nella realtà il bugiardo-mentitore viene rapidamente sbugiardato (per nostra fortuna).
FRONTE DEL NO. E’ una successione di interventi che smontano la preannunciata riforma soprattutto nel punto – mistificazione del Calderoli “super buonista” – che farebbe più bene al Sud che al Nord. Che invece sfascerebbe l’Italia tutta, lo hanno detto, con molta chiarezza proprio a Venezia, autorevoli esponenti della politica e i vertici di Confindustria. Mara Carfagna, già ministro della Coesione nazionale, ha spiegato che anche le imprese del Nord avversano il progetto in quanto “spaventate perché avrebbero oltre 23 sistemi fiscali, scolastici, sanitari e di trasporti con cui relazionarsi”. Non meno critiche le voci di Carlo Bonomi e Vito Grassi per conto degli imprenditori: troppe materie demandate alle Regioni squasserebbero il Paese che “non può permettersi divisioni”. In una fase congiunturale drammatica c’è bisogno di ricollocare le risorse pubbliche per ridurre lo storico divario, colmare il gap tra generazioni, territori, generi e competenze. Serve, in sostanza, “un fondo strutturale di perequazione da alimentare di anno in anno”. A tutto questo si contrappone, tuttavia, la calderoliana sordità.
INCOERENZE REGIONALI. Da Roma in giù, rimbalzando dalla Sicilia alla Sardegna, soffia il “freddo vento riformatore” del Nord preannuncio di “tempeste” perfette o imperfette che siano. Si attendono gli sviluppi rischiando di agire, da protagonisti e interlocutori, quando forse sarà troppo tardi. Singolare il caso di Enzo De Luca, presidente della Campania. Dopo aver fatto credere a Calderoli di essere per alcuni aspetti d’accordo con lui, ha opportunamente preso le distanze precisando che “non va tolto un euro al Nord” ma che “vanno utilizzati i fondi del Pnrr per riequilibrare territori e prestazioni”. Dove però “casca” il governatore campano è quando -esempio di una “personalissima autonomia differenziata” -punta a una legge regionale per il terzo mandato (la Regione diventerebbe un suo feudo…). ”Mi candiderò in eterno”, dice con spavalda autoironia lui che è già stato Sindaco di Salerno per ben 4 mandati, troppo legato alla “lezione” di Giulio Andreotti secondo cui “il potere logora chi non ce l’ha”.
MOMENTO DRAMMATICO. Si incrociano voci e testimonianze di Svimez e Istat: il Sud va dritto verso il collasso. Una crisi senza precedenti “non solo per il basso pil o la carenza di lavoro dove si va male da decenni”, scrive Marco Esposito, “quanto per il rapido impoverimento demografico dovuto a denatalità, invecchiamento e emigrazione con tanti studenti che hanno poche competenze” e più ridotte possibilità di occupazione. Sembra di risentire Enrico De Nicola (era stato primo Presidente della Repubblica), quando all’inizio del 1950 gridò in Parlamento “Napoli muore”. La città versava in uno stato di abbandono tra scioperi, cortei, proteste e scontri con la polizia, per un’economia asfittica e senza prospettive. I problemi, nella variazione dei tempi e degli aspetti, non dismettono la loro inquietante continuità.
DOMANDA. Quanti “Enrico De Nicola” sarebbero oggi disposti a gridare, in Parlamento, che Napoli e il Mezzogiorno stanno morendo oppure che, se non stanno morendo, sono soltanto “diversamente vivi”?