Il mondo cambia sempre più rapidamente, e con esso inevitabilmente si evolve anche il fenomeno mafioso. Lo spazio virtuale è diventato la nuova frontiera della criminalità organizzata. Le mafie sono sempre più ibride, capaci di operare online e offline. Ma come si muovono le mafie sul web?
Qual è la rappresentazione della criminalità sui social network? A questi interrogativi punta a dare una risposta il primo rapporto “Le mafie nell’era digitale”, progetto di ricerca promosso dalla Fondazione Magna Grecia e curato dal prof. Marcello Ravveduto, presentato oggi, alle ore 11.00 nella Sala Conferenze dell’Associazione Stampa Estera.
L’analisi, partita da un’approfondita raccolta di dati che ha riguardato Wikipedia e i principali social network, Youtube, Facebook, Instagram, Twitter e Tiktok, ha consentito di elaborare alcune tendenze che tracciano la partecipazione e l’intervento di mafiosi, affiliati e simpatizzanti nella sfera digitale. I social network rendono trasparenti i processi di comunicazione delle mafie in cui gli utenti “fan” promuovono il “brand mafia” attraverso il ricorso a un’estetica del potere che esalta il lusso, l’onore e il successo dell’organizzazione anche attraverso il ricordo di chi ha dato la vita o di chi ha patito il carcere.
Dalla trap al neomelodico, dalle macchine extra-lusso ai gioielli kitch, dalla condanna dei pentiti alla “presta libertà” per chi è stato arrestato, dall’emulazione di figure simboliche, alla mitizzazione dei grandi boss del passato, dagli emoticons a forma di cuore o di leone per dimostrare coraggio e sentimento agli hashtag per inserirsi nella scia dei contenuti virali, in tutto e per tutto siamo di fronte a un panorama innovativo che descrive la capacità delle mafie di adattarsi continuamente alle esigenze del presente, mantenendo una storia di lungo periodo.