A fine dicembre la commissione Antimafia aveva ipotizzato che il poeta, scrittore e regista Pier Pasolini che fosse stato ucciso per recuperare la pellicola originale di Salò o le 120 giornate di Sodoma. Oggi un altro tassello si è inserito nella complessa vicenda sulla morte violenta avvenuta a Ostia il 2 novembre del 1975. È stata depositata questa mattina in Procura, a Roma, una istanza per chiedere la riapertura delle indagini relative all’omicidio.
L’atto è stato redatto dall’avvocato Stefano Maccioni, a nome del regista David Grieco e dello sceneggiatore Giovanni Giovannetti. Nell’istanza si chiede di accertare a chi appartengano i tre Dna individuati dai carabinieri del Ris nel 2010 sulla scena del crimine. “Quella notte all’Idroscalo di Ostia Pino Pelosi non era solo – afferma il legale -, ci sono almeno tre tracce, tre ‘fotografie’ di persone e ciò giustifica il perché, dopo quasi 50 anni, è ancora possibile arrivare ad una verità giudiziaria. Una verità che si baserebbe su dati scientifici, sulla presenza di tre Dna: da qui si deve partire per svolgere le indagini per accertare a chi appartengono”
I presentatori dell’istanza di riapertura del fascicolo aggiungono che “nella prima indagine questo si è fatto in modo parziale, vennero esaminati circa 30 Dna ma oggi è tempo di fare verifiche più diffuse tenendo presenti anche le dichiarazioni di Maurizio Abbatino, esponente della Banda della Magliana, che alla Commissione Antimafia dà una giustificazione sul perché Pasolini si recò all’Idroscalo di Ostia: non era lì per consumare un rapporto sessuale occasionale con Pino Pelosi, con il quale lo scrittore aveva una relazione, ma per riottenere le pizze di Salò, le 120 giornate di Sodomà che gli erano state sottratte e a cui teneva tantissimo”. Per Maccioni, Grieco e Giovannetti Pasolini venne “attratto in una trappola e lì venne aggredito a morte. Nell’istanza di centinaia di pagine forniamo molti elementi, tante tessere che i magistrati devono mettere insieme”.
Nella relazione dell’Antimafia si sottolineava che ci sono state inchieste di giornalismo investigativo che hanno “definitivamente sgretolato l’iniziale ipotesi, purtroppo allora sostenuta dai mezzi di comunicazione e da alcune pronunce giurisdizionali, secondo cui l’assassinio dello scrittore sarebbe stato solo il tragico esito di un incontro sessuale sfociato estemporaneamente in una aggressione da parte di un unico individuo e cioè Pino Pelosi (condannato in via definitiva per l’omicidio di Pier Paolo Pasolini ndr)”. Ripercorrendo recenti lavori di ricerca, l’Antimafia ricorda “omissioni particolarmente gravi” rispetto agli “accertamenti immediati che si sarebbero dovuti svolgere” come “la mancata audizione dei testimoni che abitavano nelle baracche della zona e che avevano udito quanto avvenuto quella notte e che avrebbero sin dal principio dato conto dell’evidenza che l’aggressione fu condotta da numerose persone” o “la mancanza, dopo l’omesso confinamento della zona ove il delitto era avvenuto, di approfondite perizie sulle gravi ferite riportate da Pasolini e sui mezzi con i quali queste erano state inferte”.