Continua la rassegna “L’Essere e l’Umano” di Artenauta Teatro al Teatro Diana di Nocera Inferiore e porta in scena la tragicommedia “Il colloquio” del Collettivo lunAzione di Napoli. La regia della pièce è firmata da Eduardo Di Pietro e vede sul palco da protagonisti gli attori Renato Bisogni, Alessandro Errico e Marco Montecatino.
L’opera si svolge in uno spazio liminale, quello dell’eterna attesa di un colloquio con i propri cari carcerati. Le tre donne protagoniste attendono l’inizio dei colloqui, ciascuna con il suo bagaglio letterale e metaforico – oggetti da recapitare, confessioni da fare. Tre sconosciute connesse da un filo rosso rappresentato non solo dagli accenti rossi dei semplici costumi di scena, ma anche dal peso della condivisione di un dolore comune. Questa vicinanza non basta, però, a far sì che riescano a mettersi subito in dialogo: tra scaramucce e vere e proprie artigliate, il crescendo di esasperazione dell’attesa si esprime attraverso parole sempre più urlate e gesti sempre più scomposti.
Il registro della sceneggiata napoletana è scelto per fare da contraltare alla materia cruda con cui il regista Di Pietro si è confrontato, così come gli attori in scena: la scrittura de “Il colloquio” nasce da un profondo studio sulla realtà delle donne che vivono questa condizione di frontiera, uno studio che si è basato su un dialogo a tu per tu con queste donne, rimescolato poi in un copione che trova la sua forza nei ritmi serrati mantenuti dai tre attori in scena. Anche le pause di respiro all’interno dell’opera non sono vuote, né casuale è la disposizione dei tre attori: la più anziana delle donne viene rappresentata seduta, come se si fosse guadagnata una sorta di poltrona d’onore in questa fila che non avanza mai; la madre di due figli, a metà tra il sardonico e il comprensivo, è all’ultimo posto. E la terza, quella che ancora non è mai riuscita neppure a parlare con il marito trascorre quasi tutto il suo tempo in scena nel mezzo, tra questi fuochi incrociati con i quali non riesce a comunicare davvero.
Questi mondi in apparenza così lontani finiscono a parlare lo stesso linguaggio solo quando l’escalation di violenza diventa inevitabile: due le scene di lotta all’interno dell’opera, la prima mantenuta su un registro comico supportato dalla fisicità esplosiva degli attori in scena, e la seconda che scivola nella tragedia, una scena dove anche la scenografia essenziale viene travolta.
Non è semplice tracciare un vero e proprio arco di crescita nello spazio di una pièce teatrale, ma tutto ciò che affiora ne “Il colloquio” è funzionale a rendere le sfaccettature di personaggi dimenticati dal mondo, che in quello spazio non hanno né volti né nomi – solo soprannomi, a volte anche offensivi.
Tre età della donna, come quelle rappresentate nell’omonimo dipinto di Klimt, sono in scena e unite in un grido liberatorio di dolore al quale segue un silenzio complice, un unico, grande atto di gentilezza nascosto sotto il sarcasmo.
Ed è nella semplicità di quest’atto che “Il colloquio” fa la sua dichiarazione d’intenti: anche se mancano le parole per raccontarlo, non c’è legame più intenso di quello che si condivide con chi ha provato lo stesso dolore.