La sera del 27 marzo, nel suo centralissimo studio in corso Vittorio Emanuele a Salerno, veniva freddato con due colpi di pistola a sangue freddo, uno al cuore e l’altro alla tempia per finirlo, l’avvocato Dino Gassani, esponente di primissimo piano del Movimento Sociale di Giorgio Almirante e oratore eccezionale e trascinante. Aveva appena 51 anni e con lui trovò la morte l’inseparabile e fedelissimo segretario Pino Grimaldi. Gassani mise la dignità e il rispetto per la toga che indossava (e che oggi indossano i figli Luigi e Gian Ettore) al di sopra della propria vita: i due che quella sera si erano presentati allo studio come clienti erano in realtà emissari del boss Raffaele Catapano, uomo di fiducia di Raffaele Cutolo, che dal carcere chiedeva al penalista di far ritrattare il suo cliente, Biagio Garzione, imputato di omicidio volontario insieme a noti esponenti della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo tra cui lo stesso Catapano. In poche parole Gassani avrebbe dovuto intervenire affinché Garzione, che nel frattempo era diventato uno dei primi collaboratori di giustizia, cambiasse idea su Catapano e fornisse una versione che lo scagionasse. Gassani, mentre i due cercavano di convincerlo, sotto la minaccia delle armi, scrisse di suo pugno su un foglio di carta: «Non posso perdere ogni dignità». Rifiutò sdegnosamente ogni imposizione e quando invitò i due killer ad accomodarsi verso l’uscita fu spietatamente massacrato insieme a Grimaldi che fu ucciso con un solo colpo alla fronte.
Dino Gassani fu assassinato a soli 51 anni la sera del 27 marzo 1981 nel suo centralissimo studio di Salerno insieme al suo fedelissimo segretario Pino Grimaldi (ex agente di PS).La morte del penalista e del suo segretario, che determinò sdegno e terrore in tutto il Paese, fu ordinata da Raffaele Catapano (detto il boia delle carceri) e dagli esecutori materiali Mario Cuomo e Antonio Schirato.Cuomo perì qualche anno dopo in un attentato dinamitardo, mentre per Catapano e Schirato c’è stata la sentenza definitiva di condanna all’ergastolo, confermata dalla Suprema Corte di Cassazione.
Le indagini per risalire ai colpevoli di questo vile agguato furono immediatamente orientate alla NCO (Nuova Camorra Organizzata) di Raffaele Cutolo che negli anni ‘80 si macchiò di orrendi omicidi nei confronti di vari avvocati, agenti delle forze dell’ordine, giornalisti, uomini di chiesa, politici, imprenditori. Fu una autentica mattanza che dimostrò che la camorra dell’epoca, ormai, aveva alzato il tiro e che gran parte degli omicidi – molte volte plateali – non era più da attribuire ai classici regolamenti di conti tra organizzazioni o bande rivali, quanto al programma di eliminare qualsiasi ostacolo scomodo che potesse intralciare vari progetti criminali, nel quadro del controllo di tutto il territorio campano e delle regioni limitrofe. Le sentenze, che sono pubblicate sul sito www.dinogassani.it, pervennero alla penale responsabilità dei tre imputati attraverso le perizie grafologiche, le testimonianze, le impronte digitali e grazie a tutti gli elementi che insieme contribuirono ad individuare il chiaro movente, il mandante e gli esecutori materiali del duplice omicidio.
Dino Gassani nel ’78, infatti, aveva assunto la difesa di Biagio Garzione. Costui era stato il telefonista dell’anonima sequestri che organizzò i rapimenti dei due imprenditori napoletani, Ambrosio e Amabile.All’epoca dei fatti non era stata ancora varata la legge a tutela dei collaboratori di giustizia, tuttavia il codice penale già prevedeva forti sconti di pena in favore di chi collaborava con la giustizia. Fu così che Dino Gassani convinse, come suo dovere, il Garzione a rivelare nel processo i nomi della anonima sequestri, tra cui spiccava quello di Raffaele Catapano, all’epoca uno degli uomini di fiducia di Raffaele Cutolo, noto per la sua spietatezza.
Grazie a tali dichiarazioni, una parte della NCO fu messa in ginocchio attraverso numerosi arresti e procedimenti penali che ne scaturirono.
A Dino Gassani la camorra, a quel punto, rivolse varie minacce di morte per più di due anni al fine di indurlo a far ritrattare le dichiarazioni di Garzione e scagionare la banda dei rapitori. Il penalista, tuttavia, non si piegò a tali minacce, come egli stesso dichiarò a più riprese ad amici e parenti prima di essere assassinato.
Le carte processuali evidenziano il disumano coraggio di Dino Gassani, il quale scelse consapevolmente di mettere in gioco la propria vita. Nel 1979 in udienza ad Avellino, durante il processo all’anonima sequestri, Catapano urlò davanti a tutti: ”Garzione è l’attore e l’avvocato Gassani è il regista”.Questa frase suonò come una vera e propria condanna a morte nei confronti di Dino Gassani.
Seguirono dopo quell’episodio incessanti minacce verbali, lettere anonime, avvertimenti di ogni tipo provenienti dai detenuti delle varie carceri italiane.Ciò nonostante, Dino Gassani non tradì il proprio mandato. Si può affermare che nessun delitto eccellente di quel periodo storico è stato così chiaro e documentato sul piano del movente.E mentre alcuni colleghi di quel terribile processo si defilarono, uno alla volta, perché intimiditi da un clima assurdo e surreale, Dino Gassani non abbandonò il proprio cliente.
Quando la Polizia si precipitò sul luogo del delitto rinvenne sulla scrivania del penalista un foglietto su cui era scritto di proprio pugno dal penalista : “Non posso perdere ogni dignità”. Accanto a tale foglietto fu rinvenuta l’ennesima lettera anonima di minaccia ( di cui dopo si venne a sapere il vero autore).Il 27 marzo 1981 i due sicari avevano chiesto e ottenuto un appuntamento con il penalista spacciandosi per nuovi clienti e fornendo generalità false. I killer, una volta giunti nello studio di Dino Gassani, dichiararono di essere stati mandati dal Catapano e minacciarono il penalista di morte se quest’ultimo non avesse convinto il Garzione a ritrattare le accuse alla NCO.
Dino Gassani reagì. Prima scrisse su un foglietto: ”Se sono matto li butto fuori” e poi quello sublime “Non posso perdere ogni dignità”. E’ tutto agli atti.
La scoperta della tragedia avvenne attraverso il figlio Luigi, all’epoca poco più che quindicenne. Uno shock tremendo e devastante.
Questo è il vero e nobile testamento morale di Dino Gassani a tutto il mondo forense e a tutta la parte sana dell’Italia. Nel processo a carico degli assassini del penalista la frase “Non posso perdere ogni dignità” fu più volte richiamata. Anche gli stessi magistrati si emozionarono quando emerse il consapevole sacrificio di Dino Gassani che, se avesse voluto, si sarebbe potuto salvare, anche semplicemente abbandonando la difesa del proprio assistito.
Fu la lucida consapevolezza di Dino Gassani del pericolo che i giudici hanno voluto rimarcare con ammirazione e devozione, così come ha fatto il Capo dello Stato in occasione del riconoscimento della medaglia d’oro al valor civile : “Con eroico coraggio e grande etica professionale, non si piegava alle pressioni della malavita organizzata affinché abbandonasse la difesa di un imputato appartenente ad una banda di sequestratori, il quale aveva collaborato con la giustizia e consentito l’individuazione degli altri componenti dell’organizzazione criminale. A seguito di un proditorio agguato cadeva vittima innocente della camorra, sacrificando la vita ai più nobili ideali di dignità morale e di legalità”.
Questo efferato delitto dimostra che, in definitiva, si può essere eroi involontari semplicemente nell’adempimento di un dovere senza conoscere l’imminente pericolo, mentre si può essere addirittura eroi consapevoli e volontari fino all’inverosimile come fu Dino Gassani.