Oggi in Campidoglio sarà possibile dare l’ultimo saluto ad una persona culturalmente ed umanamente rara, speciale e degna di essere ricordata nei secoli futuri: Gianni Miná.
Classe 1938, Gianni ha rappresentato il giornalismo schietto e non allineato che tanto mi piace; ha intervistato memorabilmente Fidel Castro, Maradona, Troisi, Mohammed Alí, ha cenato coi Beatles, con Morricone, con Sergio Leone, con Robert De Niro, era amico di Gabriel Garcia Marquez e del mio scrittore preferito, Jorge Amado, ha conosciuto ed apprezzato il subcomandante Marcos, solo per citarne alcuni.
Gianni era un compagno autentico e credeva anche in Dio, oserei dire un cristiano comunista che faceva pensare alla possibilità di un mondo migliore, ne è la prova il suo interesse per la vicenda dei desaparecidos che diventa una specie di missione, una costante che caratterizzerà tutta la sua carriera.
Inoltre a Gianni piaceva il calcio, ne capiva davvero, tifava per il grande Toro, quasi una fede, sosteneva con orgoglio, vedeva lo sport come arte dell’incontro.
Insomma un uomo vero, d’altri tempi, padre di tre figlie femmine a cui di sicuro mancherà terribilmente.
Di lui ci restano le interviste, i libri, i programmi TV di spessore, oggi merce rarissima, i documentari mai banali e noiosi. Onesto intellettualmente alla gramsciana maniera, per Gianni venivano prima gli amici degli scoop e bastava una sua telefonata per mettere insieme ad un tavolo i personaggi pubblici più importanti del Novecento.
Le sue radici siciliane erano evidenti e ne andava fiero, egli non ha mai trascurato il Sud del mondo e credeva nelle sue reali possibilità di riscatto, di rivincita.
L’altra eredità indispensabile lasciataci da questo giornalista straordinario è un interesse viscerale per tutto ciò che sfugge alla nostra ottica occidentale e post–colonialista: nel 1981, tre anni dopo l’espulsione dall’Argentina, contribuì alla fondazione di Latinoamerica e tutti i sud del mondo, una rivista indipendente portata avanti con dedizione e sacrificio che, negli anni, ha ospitato sulle sue pagine capisaldi della letteratura e dell’impegno civile in America latina, come Luis Sepúlveda, Eduardo Galeano, Paco Ignacio Taibo II, Frei Betto, Rigoberta Menchù, Adolfo Pérez Esquivel, e anche scrittori e saggisti nord americani ed europei come Noam Chomsky, Manuel Vázquez Montalbán, Giulio Girardi, Alex Zanotelli, Ettore Masina, Pino Cacucci e Gennaro Carotenuto. Come ha scritto Alice Olivieri, «Dal Dalai Lama a Federico Fellini, da Jane Fonda a Franco Battiato, fino poi ai suoi cari napoletani, Massimo Troisi e Pino Daniele, Gianni Minà non ha solo creato un’enciclopedia audiovisiva del secolo scorso, ma si è anche sempre impegnato a raccontare la parte del mondo sommersa, quella considerata meno importante perché più povera, il Sud».
Gianni, che la terra ti sia lieve!
Ti salutiamo col pugno chiuso alzato e con la certezza che il tuo giornalismo e il tuo attivismo politico non saranno mai sottovalutati.
Magari stavolta Dio ti intervisterà dal Paradiso.
Annalisa Capaldo