7 anni senza di te, in cui ho riso, ho pianto, ho raggiunto obiettivi, ho cresciuto due figli e ne ho partorito un terzo, sono stata fuori regione per poi ritornarvi e non so cosa mi riservi il futuro prossimo.
7 anni in cui tante cose sono cambiate ma una è rimasta inalterata: la tua mancanza insostituibile.
Come ben sai, non credo molto nelle faccende spirituali e religiose che riguardano l’aldilà e questo è un guaio perché neppure la speranza mi dà sollievo, quindi la rabbia per averti perso non diminuisce col passare del tempo.
7 anni in cui il mondo è peggiorato sotto molti aspetti: il primo è quello climatico, ma anche umano, politico, sociale, culturale: insomma, non ti sei perso molto, papà.
Certamente non posso incolpare nessuno se sei morto ma neppure gioire dell’esistenza di taluni che non amo quanto te e che avrei preferito mio figlio non conoscesse.
Sai, gli parlo già di te, gli faccio i giochi che facevi ai primi due, gli mostro le tue monete nei quadri, gli spiego quanto fossi buono, quanto fossi diverso dalla gente che è rimasta in vita su questa terra.
Certamente, e tu saresti d’accordo , la morte è l’invenzione più giusta e democratica che sia stata fatta. I corpi si deteriorano e alla fine il meccanismo si ferma, il cuore smette di battere e così terminano le sofferenze, le paturnie, le cattiverie, l’egoismo.
7 anni che sono sembrati 7 secoli, in cui mi sono sentita come una barca senza timone e senza nocchiero.
È vero che durante la tua lunga malattia spesso sono scappata dal tuo dolore ed ho demandato il peggio alla mamma, ma non ho avuto la forza per curarti.
Cercavo di trattenere le lacrime come faccio ancora adesso, ma la verità è che niente ha lenito il mio dolore, neppure i figli, il lavoro duramente conquistato, la scrittura e la lettura, i viaggi.
È giusto che tutti si rifacciano una vita, come si suol dire, povero chi muore, avresti detto sorridendo amaramente, del resto la vita è una sola e presto o tardi moriremo tutti, ma la mia rabbia resta e non hanno del tutto torto coloro che notano questa mia durezza del cuore. Qualcuno mi ha accusato di non saper più amare e non posso negare che in parte sia vero.
Naturalmente, papà, non è tutto brutto qui, ma non so come descriverti il mondo dal mio punto di vista: come un dipinto a cui mancano particolari che sono necessari, colori e sfumature altrettanto necessari.
Io vado avanti, cerco di fare del mio meglio per accettare i cambiamenti legati alla tua assenza, mi sforzo di non dire a tutti quanto siano diversi da te e quanto io mi senta inadeguata con loro, tendo a non fare mancare nulla ai miei figli e a costruire la loro futura indipendenza.
Papà, faccio tutto quello che posso per non essere la figlia sgangherata che hai lasciato e non languire senza produrre, ma sappi che la mia sofferenza terminerà solo con la mia morte.
Spero tu possa riposare in pace, anche nella stessa condizione del prima di nascere, nel nulla cosmico, nell’oblio, ma che almeno nella dimensione in cui ti trovi non abbia a soffrire ingiustamente come su questo mondo alla rovescia in cui i cattivi restano e proliferano e i buoni no.
Cercherò di non essere troppo cruda e di non dire sempre ciò che penso perché in effetti non serve a riportarti in vita o a cambiare la gente e lo status quo e di non abbattermi mai.
7 anni sono passati ma io sento ancora il tuo ultimo fischiettio dei Giardini di Marzo del tuo amato Battisti che ricordavi nonostante la malattia neurodegenerativa ti avesse sopraffatto. Avevi previsto anche la data della tua morte, non avresti superato marzo, infatti hai aspettato l’ultimo giorno per spirare.
Mi diresti che sono una scema ad arrabbiarmi e ad avercela con tutti, ad odiare chi è vivo, ma il dolore fa diventare cattivi, papà.
Magari tutto cambierà un giorno.
Ti voglio bene come non ne ho mai voluto a nessuno.
Tua figlia, Annalisa
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