L’esistenza di un piano per arrestare in caso di “emergenza” 731 personaggi, dirigenti del Pci e della Cgil, ma non solo (dovevano finire impacchettati anche i registi Pier Paolo Pasolini e Gillo Pontecorvo, gli storici Aldo Garosci ed Enzo Santarelli, il critico d’arte Ranuccio Bianchi Bandinelli e qualche socialista come l’emiliano Clodoveo Bonazzi) viene rivelato in un articolo dell’Espresso del 14 maggio 1967 (ma le anticipazioni vengono diffuse tre giorni prima). Il settimanale, al tempo diretto da Eugenio Scalfari, pubblica un pezzo di Lino Jannuzzi dal titolo “Complotto al Quirinale”. Con lo stile piuttosto concitato che caratterizzava allora l’Espresso, una specie di trasposizione giornalistica dei quadri di Hieronymus Bosch, («Il 14 luglio del 1964 fu la giornata più calda dell’anno: 36 all’ombra. Due generali di divisione, undici generali di brigata e mezza dozzina di colonnelli, in piedi, impettiti sull’attenti, stipati nella stanza del comandante generale dell’arma dei carabinieri, sudavano. Né era pensabile che ci si potesse sedere, spalancare le finestre, farsi venire su delle granite dal bar all’angolo di viale Romania. Sarebbe stato più confortevole, ma assai sconveniente e incompatibile con la solennità del momento. Calmo e severo, nonostante fosse il più grasso e il più sudato di tutti, il comandante generale, Giovanni De Lorenzo, stava concludendo il rapporto agli ufficiali») Jannuzzi spiega che il generale dei carabinieri, col pieno consenso del presidente Antonio Segni, intendeva mettere a segno un golpe. Eugenio Scalfari e il suo giornalista Lino Jannuzzi, per i loro articoli sul Piano Solo saranno processati per direttissima e condannati nel marzo 1968 a 15 (Scalfari) e 14 (Jannuzzi) mesi di reclusione con la condizionale. Condanna giunta dopo che il pubblico ministero Vittorio Occorsio (ucciso il 10 luglio del 1976 dal neofascista Pierluigi Concutelli) aveva chiesto il proscioglimento dal reato di diffamazione aggravata. Entrambi vengono poco dopo eletti parlamentari nelle fila del Psi (Jannuzzi tornerà in Parlamento molti anni più tardi con Forza Italia). Un toscano doc fece il percorso simile, ma a causa del licenziamento, voluto dalla “Zarina” Crespi dalla direzione del Corriere della Sera: Giovanni Spadolini, che poi si presentò alle elezioni, fu sostituito da Piero Ottone.
Un esempio forzato ma non l’unico di giornalisti approdati in Parlamento. Oggi assistiamo al contrario, a livello locale (per carità di patria ci asteniamo dall’andare oltre) e a livello nazionale: politici o amministratori che diventano opinionisti e giornalisti. In queste ore Matteo Renzi diventa direttore de Il Riformista, ovviamente direttore editoriale-politico non avendo il tesserino da giornalista. Il Riformista da quotidiano diventerà settimanale. Renzi ha accettato la proposta dell’imprenditore napoletano Romeo, che ha acquisito dal fallimento L’Unità, pronto a tornare in edicola da quotidiano, diretto da Pietro Sansonetti.,