Riproponiamo l’articolo di Ermanno Corsi apparso sul Roma di martedì 4 aprile novembre all’interno della rubrica Spigolature
Comune l’allarme: della Commissione europea e della Corte dei Conti. Occhi vigili del Quirinale mentre il ministro Raffaele Fitto (pugliese di Maglie in provincia di Lecce), in qualità di responsabile degli Affari europei, politiche di coesione cui si è aggiunta la delega al Mezzogiorno, allude nemmeno tanto velatamente a “errori di altri”: dei due Governi del foggiano Giuseppe Conte (2028-2021) o di quello presieduto da Mario Draghi (20 mesi tra 2021 e 2022)? Molte le ragioni perché Quirinale e Palazzo Chigi non dovessero promuovere un “faccia a faccia” leale e franco: proprio come si addice a due vertici che si connotano come attenti alle vicende governative e politiche che, dall’Italia, rimbalzano sempre e subito sul piano internazionale.
GIORGIA VA AL COLLE. Mentre lei sale, la seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, accende polemiche di cui non si sentiva il bisogno. Secondo lui nel 1944 (23 marzo) in via Rasella, a Roma, i partigiani non uccisero soldati nazisti, ma poveri semi-pensionati vestiti in maniera da indurre a un deprecabile equivoco. Tante le reazioni fino a Carlo Calenda che ritiene il presidente del Senato indegno di occupare il vertice di Palazzo Madama. Dallo Studio di Mattarella (che poco tempo prima aveva ricevuto Mario Draghi), tutto questo resta fuori. Nel lungo scambio di riflessioni, oltre due ore, il Presidente della Repubblica sottolinea il valore di un rapporto corretto, anche se giustamente dialettico, con l’Europa. Ogni “strappo” avrebbe conseguenze devastanti per l’economia, la coesione e la ripresa dell’Italia. Giorgia Meloni, attenta e compresa dei problemi aperti, resta al Quirinale per il tempo necessario agli approfondimenti. Per questo disdice la sua presenza a Udine dove si rinnova la Regione. Come dire: gli interessi del Paese prioritari rispetto voti elettorali.
PNRR AI TEMPI SUPPLEMENTARI. La Premier chiede all’Europa un mese in più per il via ai fondi riguardanti gli obiettivi dell’anno trascorso: dal 31 marzo al 30 aprile. Trenta giorni per non pregiudicare la terza rata del Piano, ben 19 miliardi di euro. Rispettare la tabella di marcia “non sarà una passeggiata”, pesano scelte e ritardi “precedentemente compiuti”. Per evitare che si potesse riferire al Governo Draghi, chiarisce telefonicamente che non c’era alcuna allusione a lui (non resta, perciò, che pensare alla responsabilità dei due Governi Conte). Del resto c’è la giustificazione di Giancarlo Giorgetti (ministro Economia e Finanza) che “la macchina statale continua a non essere all’altezza”. Ora ci si concentra su punti significativi: connessioni portuali, reti di riscaldamento, piani urbani integrati, controlli dell’Antimafia. Per la complessa materia del Piano non basta un decreto legge, occorre una legge approvata dal Parlamento. Oggi se ne doveva parlare in Senato. Il rinvio all’ultimo momento mentre Paolo Gentiloni, commissario a Bruxelles, ribadiva collaborazione e flessibilità dall’Europa.
LA SFIDA DEI SINDACI. Da Sud (Palermo) a Nord (Venezia), la voce di tanti diventa una sola: ”I fondi del Recovery non spesi e che si rischia vadano persi, dateli a noi, ai Comuni più virtuosi” .E’ una rete trasversale di Città che battono cassa a Palazzo Chigi. In prima linea, tra i più decisi nella richiesta, il Sindaco di Napoli. Gaetano Manfredi afferma che molti progetti sono pronti: ciclo idrico e dei rifiuti, infrastrutture e restauro dei parchi storici. Approvato nei tempi giusti anche il piano economico-finanziario per l’Albergo dei Poveri che potrà avere, finalmente, usi e funzioni polivalenti.
LAVORO: MALE IN ITALIA, PEGGIO AL SUD. I dati più recenti sull’occupazione indicano che il nostro Paese è all’ultimo posto in Europa, fanalino di coda sorpassato dalla Grecia che, con un incremento di 3,5 punti, raggiunge il 60,7 per cento di occupati. Italia ferma al 60,1 nella fascia anagrafica dai 15 ai 64 anni. Tra le donne solo la metà trova lavoro. Nel Mezzogiorno la metà della metà. Singolare quanto accade a Napoli. Al “concorsone” per colmare i vuoti del Comune (passato in 10 anni da 12 mila dipendenti a 4 mila),120 mila le domande, ma solo in 73 mila si presentarono alla selezione. Risultato: 176 caselle sono rimaste scoperte. Si cercavano tecnici per gestire il Pnrr. Occorrerà provare adesso con un nuovo bando.