Il decreto PNRR ter approvato in Senato conferma la profonda revisione della governance del Piano e l’accentramento di poteri a Palazzo Chigi, che avrà una nuova unità di missione del PNRR cui si affianca una struttura tecnica al Ministero dell’Economia. Il testo passa ora alla Camera per il via libera finale entro il 25 aprile.La revisione della governance del Recovery Plan è il nodo centrale del decreto PNRR 3 (decreto n. 13 del 24 febbraio 2023) e occupa i primi articoli del provvedimento. La legge di conversione del decreto accentra i poteri nelle mani di Palazzo Chigi prevedendo l’istituzione presso il Dipartimento per le Politiche europee guidato da Raffaele Fitto, della struttura di missione del Piano, che ha il compito di coordinare le attività di realizzazione dei progetti e diventa così il punto di contatto nazionale per l’attuazione del Piano e i rapporti con le istituzioni di Bruxelles. Il controllo e il monitoraggio della spesa degli interventi PNRR e del Piano Complementare sono invece in capo al MEF. In particolare, le amministrazioni centrali dello Stato sono chiamate ad adottare misure, anche organizzative, finalizzate all’efficientamento dei processi di spesa, di cui dovranno dare conto alla Ragioneria generale dello Stato.
Lo stesso processo di centralizzazione interessa anche la Politica di Coesione, con la soppressione dell’Agenzia per la coesione territoriale e l’accentramento delle competenze in capo a Palazzo Chigi, in particolare al Dipartimento per le politiche di coesione, con un’unità specifica ridenominata “Nucleo per le politiche di coesione” (NUPC).Ma la governance del PNRR e della gestione dei fondi europei non sono gli unici temi al centro del decreto PNRR ter.
Tra le altre novità arriva la possibilità per gli enti locali di stabilizzare i precari assunti a tempo determinato e la possibilità di affidare incarichi di vertice in enti delle amministrazioni centrali a pensionati, previo parere delle commissioni parlamentari. Tra le misure previste dal decreto PNRR 3 anche norme per far viaggiare più speditamente i lavori del Giubileo e gli impianti di energia rinnovabile. Sul fronte energia, oltre a una serie di semplificazioni e novità sulle aree idonee, il decreto PNRR ter prevede l’esenzione dalla valutazione di impatto ambientale per una serie di infrastrutture green.In materia di incentivi per biogas e produzione di biometano, il decreto prevede l’inclusione anche della produzione di biometano tramite gassificazione delle biomasse. Novità anche per il Conto Termico: il decreto prevede, a decorrere dall’anno 2023, un impegno massimo di spesa annua cumulata di 400 milioni di euro per gli interventi da realizzare o realizzati da parte delle amministrazioni pubbliche e di 500 milioni di euro per gli interventi realizzati dai soggetti privati.
Inoltre, il GSE potrà supportare il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica negli investimenti per la transizione ecologica previsti dal PNRR. Per accelerare la realizzazione degli investimenti PNRR per gli alloggi universitari e gli impianti sportivi, infine, il decreto tira in ballo l’Agenzia del Demanio. Spunta anche una norma ponte sullo Spid, prevedendo un contributo di 40 milioni di euro ai gestori di identità digitale a fronte di adeguamenti tecnologici per il miglioramento della qualità dei servizi. Via libera anche alla proroga di 24 mesi per certificati, permessi e autorizzazioni per gli interventi per la rete a banda ultralarga.
Il problema di fondo: L’Italia è in difficoltà nella spesa dei fondi di React-Eu. È quanto emerge dall’ultima relazione della Corte dei conti sui rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei fondi comunitari. L’analisi arriva a meno di un anno dalla chiusura del ciclo di programmazione 2014-2020, i cui fondi potranno essere spesi entro il 31 dicembre 2023. A fine 2022 i target di spesa previsti per evitare il disimpegno delle risorse sono stati raggiunti, ma nonostante questo dato rassicurante, la Corte osserva come le percentuali di incremento annuale degli impegni e della spesa siano spesso ad una cifra e rappresentano dunque un campanello di allarme sulla capacità dell’Italia di spendere i fondi di coesione entro la fine di quest’anno. In particolare, la scarsa capacità di assorbimento dei fondi aggiuntivi di React-Eu, stanziati per permettere agli stati membri di reagire alla pandemia, mette in dubbio la capacità del paese di assorbire risorse aggiuntive rispetto alla programmazione ordinaria. Dal 2021, i fondi originari Fesr (Fondo europeo di sviluppo regionale) e Fse (Fondo sociale europeo) sono stati integrati con le risorse provenienti dal ciclo 2021-2027 legate all’iniziativa React-Eu con l’obiettivo di superare gli effetti della crisi sanitaria. Nel 2022, sempre nell’ambito dell’iniziativa React-Eu, alla politica di coesione sono stati assegnati ulteriori 3 miliardi con l’obiettivo di superare la crisi provocata dalla pandemia e attivare una ripresa economica verde, digitale e resiliente. Secondo l’analisi della Corte al 31 ottobre 2022, soltanto sei programmi nazionali (pon) su otto beneficiari hanno iniziato ad impiegare i fondi integrativi di React-Eu. Il pon Città metropolitane rappresenta un caso virtuoso con il 143% degli impegni presi e pagamenti al 97% (quota Fse), mentre il Pon inclusione è fermo al 18% degli impegni assunti e addirittura a zero per i pagamenti. Il pon Governance e Capacità Istituzionale e il pon Sistemi di politiche attive per l’occupazione non risultano tra i programmi che hanno dato attuazione finanziaria a React-Eu. Complessivamente le risorse assegnate all’Italia nell’ambito di React-Eu ammontano a 14,4 miliardi da spendere entro il 31 dicembre 2023.
Accanto all’analisi sull’utilizzazione dei fondi Ue, l’elemento centrale nell’analisi della Corte riguarda il cambiamento della posizione dell’Italia nei confronti dell’Ue in termini di contribuzione. Nel 2021, grazie ai fondi di Next Generation Eu attraverso il Pnrr, l’Italia è infatti diventata un beneficiario netto del bilancio dell’Ue, cioè ha ricevuto più di quanto ha versato. Nel 2021, i versamenti verso l’Ue sono stati pari a 18,1 miliardi (-0,4 miliardi rispetto al 2020) mentre ha ricevuto dall’Ue circa 26,7 miliardi, di cui 10 provenienti da NGEU. Si tratta di un aumento del 129% rispetto al 2020, che scende al 41,7% se si esclude la quota di NGEU. Ma l’evoluzione non riguarda soltanto l’ammontare di risorse a disposizione per gli stati membri. Secondo la Corte, NGEU ha modificato l’assetto stesso del sistema finanziario dell’Ue, che da “chiuso” – ossia limitato ai flussi di entrate e uscite tra stati membri e Ue – si è aperto ai finanziamenti provenienti dal mercato. Le regole di accesso ai fondi del Pnrr e a quelli della politica di coesione sono, ad oggi, diverse. Tuttavia, la Corte sottolinea come il metodo Pnrr, che potrebbe essere esteso oltre al 2026 per permettere di affrontare l’emergenza energetica, sia già stato recepito anche da alcune regolamentazioni dei fondi a gestione concorrente, per esempio dal consolidamento del “single Audit approach” che sposta l’attenzione dal procedimento di spesa agli esiti del progetto. Secondo la Corte, è possibile un’evoluzione “osmotica” tra il sistema classico dei fondi europei e quello in via di sperimentazione con Next Generation Eu.