Fu così che, sul finire del secondo millennio, la giovane del contado cominciò a aumentare la frequenza delle sue puntate nel villaggio e anche nella città in ore serotine, per giunta da sola o con il ragazzo. In più senza essere accompagnata dal familiare d’obbligo, come prescritto dalle tradizioni locali.
Quel “ragazzo”, va confermato, dall’inizio del secolo è diventato “compagno”. Il termine che ha scalzato da una postazione che sembrava consolidata anche fidanzato, marito e altri nomi equivalenti, a partire da occidente. In breve si è espanso a macchia di leopardo quasi ovunque, seppure con diversa velocità. Perde così di attualità la canzone di Domenico Modugno “Io mammet’ e tu”, soppiantata da narrazioni in musica, a volte accompagnate da rappresentazioni più che esplicite dell’amore giovanile e non, in linea con i tempi.
Il riavvolgimento rapido del nastro appena eseguito vuole servire a evidenziare il significato autentico del termine moda. Tanto vuol servire a sottolineare che Moda è un termine tecnico derivato dalle Scienze Statistiche che definisce quel fenomeno che vede coinvolto nell’adozione di un comportamento identico adottato un determinato numero di persone nello stesso intervallo di tempo.
Questo è quanto vogliono esporre le righe che seguono. Giovedì, in Inghilterra, è finita Mary Quant. Per le più giovani la notizia non richiama alla memoria alcun ricordo o sentimento nostalgico, ma per le meno giovani di oggi che furono ragazze negli anni ’60/’70, la Quant appena scomparsa resta una delle protagoniste di spicco dell’emancipazione femminile. Ciò non solo per il contributo formale dato dalla sua opera alle donne per uscire dagli schemi, ma anche perché anche per mano sua prese forma una rivoluzione destinata a cambiare radicalmente la moda occidentale e non solo.
Quella giovane stilista introdusse un capo di abbigliamento femminile che provocò una specie di rivoluzione copernicana: la minigonna. Resta ancora oggi uno dei simboli più significativi del riscatto sociale e culturale delle donne, che sarebbe diventata a stretto giro un componente dell’uniforme del tempo. Quella che vestì durante il suo excursus la componente femminile della Beat Generation. Segnò così l’inizio di un nuovo corso nella produzione di abbigliamento da donna e relativi accessori.
Quel settore produttivo da allora si è rafforzato sempre più e, fortunatamente, continua la sua irrefrenabile escalation anche nelle zone meno evolute del mondo. Il significato traslato di quel capo d’abbigliamento era e resta un netto e deciso contrasto all’establishment occidentale in senso lato. Era, questo atteggiamento, lo stesso che dovette rassegnarsi a fare più di un passo indietro alla fine delle guerre.
Le ostilità, di massima, furono interrotte, almeno per un breve periodo, con il ritiro delle truppe americane dal Vietnam. Formavano una sequenza di conflitti che venivano avanti dai primi anni del secolo scorso pressoché ininterrotta.
Quanto oggi lascia perplessi è che, accanto alle manifestazioni per la salvaguardia dell’ambiente o per il problema del cambiamento climatico, non si assiste a prese di posizione o a manifestazioni altrettanto imponenti volte a contrastare le guerre in corso. Insieme a essa quella che, alla luce degli ultimi eventi, si sta rivelando sempre più una tratta degli schiavi capitolo secondo: le traversate dei profughi, diventate ormai un businnes per organizzazioni criminali sempre più efficienti e ramificate.
Storici del secolo scorso si dedicarono all’osservazione di che relazione fosse intercorsa nello scorrere dei secoli tra il modo di vestirsi di uomini e donne e il cammino della civiltà. Conclusero con un tutti d’accordo o quasi che l’abbigliamento era stato più castigato quando l’attività intellettuale e la pace avevano dominato la scena. È successo l’esatto contrario quando hanno preso il sopravvento i conflitti di ogni genere. La ricerca di virtute e conoscenza è stata messa in stand by per lasciare campo libero ai mores dessoluti.
Non senza un certo rincrescimento, da qualche anno si sta prendendo atto che quelle riflessioni restano confermate al rialzo e destano preoccupazione crescente. Fanno temere sempre più la possibilità che la civiltà sia prossima a una brusca frenata, se non ancora peggio, i lampi che si scorgono a Oriente. Oltre che in Ucraina, essi stanno cadendo in maniera copiosa in Afghanistan, in Iran e altre nubi si vanno addensando da quella parte del mondo. Eppure tanto nella terra dell’oppio, quanto in quella dei pistacchi, la minigonna è tenuta al bando con rigore…
Probabilmente starà accadendo quanto ipotizzava il filosofo francese Blaise Pascal: l’eccezione sta confermando la regola. Che peccato, però!