Ma torniamo al libro. È di 265 pagine, scandito in 66 capitoletti, dove l’autore mette a frutto la sua vena giornalistica giocando con dei titoletti, che incuriosiscono e invogliano alla lettura. Uno dei tanti esempi: “Una telefonata nel Settecento” è il breve racconto di una Roma spettrale, deserta, in pieno lockdown; vi si raffigura una Piazza Fontana di Trevi senza bancarelle né turisti, e l’autore si immagina di guardare i marmi e il monumento “come lo guardavano i papalini e i nobili che passavano in carrozza”. Il padre era anche a anche un maestro di scrittura: consigliava di sciogliere le frasi, togliere inutili gerundi, e giudicava le parole “infatti” e “quindi” le stampelle per gli ignoranti. Un galantuomo, tra i pochi portavoce che io abbia conosciuto che non mentiva, secondo il giudizio di Giampaolo Pansa, riferito al figlio negli anni in cui Luigi Contu era a “Repubblica”. ” I libri si sentono soli, proprio come noi. E l’autore commenta: “Mio padre era così convinto di questa idea che in casa sua li spostava spesso, penso proprio perché temeva che potessero sentirsi trascurati. E, sulla stessa lunghezza d’onda – racconta l’autore –a volte mi scoprivo a immaginare gli stati d’animo dei libri. Se hanno una vita propria, pensavo, allora avranno anche sei pensieri. E fantasticando, per prima cosa vorranno essere amati, come tutti gli esseri umani, e quindi letti e capiti da chi li ha acquisiti. E poi rispettati. Magari temono di finire nelle mani sbagliate, in posti sbagliati, o spesso dimenticati in una casa di campagna, divorati dall’umidità. “Tra le figure principali di questo libro, oltre al padre Ignazio, si staglia con grande rilievo il nonno Rafaele, personaggio importante della cultura italiana a cavallo tra la prima e la seconda guerra mondiale. Diresse con Giuseppe Ungaretti la collana di letteratura I quaderni di Novissima. Fu editore di tanti scrittori e poeti tra cui Saba, Montale, Malaparte, Cardarelli e Valery; curò la pubblicazione dell’opera omnia di Gabriele D’Annunzio. Aveva, in tempi in cui la filosofia idealistica sminuiva l’importanza della scienza,” degradata a pseudo concetto” ( Croce), la passione per la divulgazione scientifica. Diresse infatti la rivista Sapere, oltre all’Unione Sarda, e tradusse la Teoria della relatività di Einstein per l’editore Hoepli. A ogni pagina balzano nuovi libri, sempre legati a chi li possedeva, li traduceva in qualche caso, o li comprava, come spesso faceva nonno Rafaele in edizione originale dalle librerie di Parigi. Le sorprese non mancano, ma ne citeremo solo alcune, per non sciupare il gusto della lettura. E così capita di trovare, nel settore della biblioteca dedicato alla Sardegna, un volume con i versi della Divina Commedia tradotta in lingua sarda dal poeta Pietro Casu, degli anni Venti del ‘900, con questo incipit: A su mesu caminu de sa vida. M’incontres’ in un’addhe a busca oscura. Ca sa via ‘eretta fi’ peldida. Oppure un capolavoro di Shakespeare, Machbeth, diventato e tradotto come Machbettu, trasposizione di Alessandro Serra. Ci sono storie di briganti e pastori, leggende come quella che all’autore bambino raccontava la nonna Maria, una nobildonna di antico lignaggio cagliaritano: la pietra ballerina. Il racconto di una bambina che amava danzare, contro il volere dei genitori, e poi fu trasformata in pietra, ma la pietra continuava a muoversi con un passo di danza. La nonna Maria narratrice di tante storie, dice oggi il nipote, funzionava come un audiolibro ante litteram. Con un montaggio narrativo tipico dei flash back, l’autore fa dei rimandi a fatti più recenti, della sua giovinezza di studente o della sua vicenda professionale. In due episodi c’entra addirittura Enrico Berlinguer, di un figlio del quale Luigi Contu era compagno di scuola e amico. Un pomeriggio, mentre l’autore giocava a calcio con alcuni compagni tra cui Marco Berlinguer, il segretario del Pc si aggregò alla squadra e diede anche lui qualche calcio al pallone. Un’altra volta, mentre Luigi studiava in casa Berlinguer, era vigilia di interrogazioni in storia, ai ragazzi che sbuffavano “che noia”, Berlinguer fece prima una esortazione: bisogna studiare la storia, è importante; e poi, saputo che l’argomento dell’interrogazione sarebbe stato la Rivoluzione francese, si sedette e fece una lezione di storia in piena regola. E Luigi Contu poté così dire poi al padre: ho preso un buon voto in Storia, e lo devo a Berlinguer, nello stupore del padre che non aveva compreso il senso di quelle parole.