San Giovanni Apostolo va incontro alla Madonna dopo la Resurrezione di Gesù. È Domenica di Pasqua. La statua corre sulle braccia dei “portatori”, fa la spola tra Cristo e Maria. Una volta, due, tre per comunicare che il Signore ha davvero vinto la morte. Seguono inchini. Il velo nero della Madre viene strappato, il lutto va in archivio, il miracolo è servito.
Eccolo lo storytelling della processione dell’Affruntata, tradotto dal dialetto, l’incontro: una tradizione lunga e rispettabilissima che migliaia di fedeli seguono con trasporto e devozione. Non tutti. Nel 2014 a Sant’Onofrio, 2.792 abitanti a pochi chilometri da Vibo Valentia, la cerimonia fu commissariata per infiltrazioni mafiose.
È uno dei tanti riti che le cosche di ‘ndrangheta hanno cercato di piegare a una logica perversa. Per ostentare il loro potere. Ma con la colonizzazione del Nord Italia e dell’Europa, anche il tentativo di strumentalizzazione di un momento di fede popolare è stata oggetto di transito fuori dai territori di origine.
Nei video acquisiti dal Gico della Guardia di Finanza di Torino, la corsa tra le statue portate a spalla è accompagnata da una prima fila di mamme santissime che con la Vergine dei cristiani c’entrano nulla. Ed è a Carmagnola, provincia di Torino: Francesco Arone, giacca e cravatta d’ordinanza per l’occasione, accompagna il santo al rendez-vouz con Madre e Figlio.
Nei mesi scorsi è stato condannato dal Tribunale di Asti a 18 anni e 6 mesi. Il suo prossimo parente, Salvatore, detto Turi, ha incassato 17 anni e 9 mesi: è tra i vertici piemontesi della ‘ndrina Bonavota. L’architrave sono tre fratelli, l’ultimo, Pasquale, super ricercato dopo l’arresto di Messina Denaro, è stato arrestato a Genova nei giorni scorsi.
Pochi mesi fa ha parlato così, in aula, al maxi processo Rinascita Scott il collaboratore di giustizia Andrea Mantella: «So che in un paesino qui a Torino dove facevano l’Affruntata c’era un comitato presieduto da Arone Salvatore che organizzava questa festa. Dalla Calabria salivano Nicola, Pasquale e Domenico Bonavota per portare la statua».
Tre boss. «I Bonavota – ha spiegato il pentito – si dividevano i compiti per essere ovunque e trasmettere ai calabresi del posto chi comandava portando la vara». Non pervenuta dal punto di vista giudiziario, ma abbastanza lineare sul fatto storico in se è la vicinanza con pezzi di ‘ndrangheta da parte di alcuni dei fedeli della Madonna di Polsi nella celebrazione parallela che si è svolta per alcuni anni a Ventimiglia.
L’ultima, nel 2019, ha sollevato un polverone. Si è parlato di inchino della statua trasportata a braccio dai fedeli in favore del fratello (incensurato) di un noto boss della zona: Carmelo Palamara. In molti si sono affrettati a smentire con una motivazione piuttosto articolata: nessun inchino, la statua non si è girata verso nessuno. Di certo, però, c’è una sosta della Santa di fronte alla panchina dove sedeva – insieme alla moglie – il parente del capomafia.
Di consuetudini e simboli che vedono la mafia calabrese sconfinare abusivamente nella religione anche al di fuori dal territorio di origine, sono pieni i documenti giudiziari. Il mosaico di San Michele Arcangelo, incastrato nel cotto fiorentino, nella tavernetta di un boss del Canavese (condannato a 13 anni) è storia recente. In quel luogo si tenevano le riunioni tra i capimafia del Piemonte. Sul tavolo i santini che bruciavano per le nuove affiliazioni, sotto i piedi il santo “rubato” dai boss alla polizia di Stato. La statua a grandezza naturale della Madonna di Polsi è stata sequestrata in casa di un membro di spicco della famiglia Giorgi a Duisburg in Germania nel corso del blitz “Platinum”.