Giugno sarà un mese di ulteriore svolta per i beni archeologici di Nocera Superiore. Proseguono i lavori di parziale e primo restauro del Teatro Ellenistico di Pareti, come da accordo sottoscritto tra Comune e Sovraintendenza. Tra qualche settimana saranno visibili i primissimi risultati dei lavori e non solo: l’amministrazione Cuofano conta di organizzare delle giornate a tema per far conoscere meglio alla comunità, e ai turisti dell’arte, un altro gioiello di Nuceria.
Costruito addossato alle mura cittadine, fu ubicato lungo l’asse della strada nord-sud, tra Pareti e Pucciano, il teatro era posto frontalmente rispetto alla porta di cui la toponomastica ha conservato il nome di Portaromana.
Il teatro era appoggiato ad declivio del terreno e vi erano due ampi passaggi scoperti, detti pàrodoi, per l’accesso all’orchestra. Ne erano parte integrante di un ginnasio e la palestra. Sono ancora evidenti i resti della parte più antica, risalente all’epoca sannita, realizzata con grandi blocchi rettangolari. Tale risoluzione tecnica trova riscontri coevi anche nelle fasi più recenti delle fortificazioni. Venne quindi restaurato in età augustea, che lo trasformò in forme romane, utilizzando l’opera laterizia per le strutture portanti e l’opera incerta per i tramezzi. Fu restaurato dopo i danni subiti nel terremoto del 62 e per l’eruzione del Vesuvio del 79. In abbandono dal IV secolo, fu utilizzato come cava di pietre e quindi progressivamente interrato nel corso del medioevo. Le concavità delle mura costruite per l’ampliamento furono considerate delle carceri dove i prigionieri venivano calati dall’alto. Per questo motivo questa parte fu chiamata volgarmente le carceri.
Il teatro di Nuceria è per dimensioni uno dei maggiori della Campania (diametro di 96 m nella fase romana). La scena era costituita da una parete con tre nicchie in opera laterizia (semicircolare quella centrale e rettangolari le due laterali). Anche il pulpitum, il basso muro frontale che sorreggeva il palcoscenico in tavole di legno davanti alla scena, era decorato con nicchie alternativamente semicircolari e rettangolari.
L’orchestra conserva i resti di una ricca pavimentazione in marmi policromi. Intorno all’orchestra scorreva l’euripus, canale per il deflusso delle acque. Si conservano ancora i gradini dell’ima cavea e della media cavea, dai quali sono stati in gran parte asportati i blocchi di rivestimento in tufo. Nella parodos occidentale si conservano affreschi in terzo stile pompeiano.
Da una sepoltura della necropoli del VI secolo a.C. adiacente al teatro, proviene l’oinochoe in bucchero con l’iscrizione “Bruties Esum” in alfabeto nucerino.
Nella seconda fase del teatro, compresa tra la tarda età augustea e l’inizio di quella tiberiana, il teatro è interessato da varie trasformazioni e da un significativo ampliamento, evidenti anche nell’utilizzo molto accurato del latericium e nella realizzazione delle tre nicchie della scenae frons; la nicchia centrale si presenta curva come nel caso di altri teatri noti (Pompei, Ercolano, Fiesole e Volterra). In questa epoca, l’asse fu spostato di 3,50 m. verso est ed il diametro fu ampliato fino a raggiungere 96 m. L’orchestra ha un diametro di 23,84 m. La fronte del pulpitum, articolata tra due scalette da cinque nicchie alternate, rettangolari e curve, era anticipata da una vasca sporgente fino al centro dell’orchestra con zampilli posti dinanzi alle tre nicchie curve. Gli zampilli erano alimentati da fistule. Le strutture nella cavea sono in opus reticulatum di tufo con ammorsature in latericium negli spigoli e nei piedritti; anche il pulpitum è realizzato nella medesima tecnica, mentre tutto l’edificio scenico è in laterizio.
I sedili della cavea erano rivestiti di marmo italico, mentre la praecinctio inferiore e le scalinate d’accesso avevano una pavimentazione in blocchi di calcare dei monti Lattari. La ricca decorazione della scaenae frons databile alla trada età augustea è andata quasi del tutto perduta, a causa delle spolizazioni delle epoche successive. Tra i resti degni di nota, si segnalano un frammento di base attica con il toro superiore ornato da foglie di quercia, parti di capitelli corinzi con foglie di canna, elementi di epistilio con kymation lesbio e cornici a mensole simili a quelle del teatro di Pompei. Nel vano in fondo all’iposcenio, fu trovata la testa di un ritratto marmoreo di Agrippina Maggiore, forse in origine collocata in una delle nicchie della scaenae frons. Anche i frammenti delle decorazioni parietali, riconducibili al III stile pompeiano, confermano la datazione della decorazione e del rifacimento tra Augusto e gli inizi dell’età tiberiana. Una epigrafe documenta un ulteriore restauro sotto Domiziano. Attribuibile a questa fase l’abolizione della vasca dell’orchestra e la sua conseguente pavimentazione, mal conservata, realizzata in lastre di marmi colorati di diverse origini. L’edificio, danneggiato dal terremoto del 62 d.C., subì importanti restauri e sopravvisse alla terribile eruzione vesuviana del 79 d.C. Dopo il IV sec. d.C., caduto in disuso, fu lentamente spoliato dei suoi elementi più preziosi finchè alluvioni successive in epoca medievale non ne cancellarono il ricordo.