Si chiama landfill mining ed è il concetto attorno al quale sta lavorando la regione Campania per guardare in modo diverso alle discariche. Riaprire quelle già esistenti e utilizzando le nuove tecnologie di separazione creare degli spazi (si calcola che si possa arrivare addirittura al 50%) per depositare residui inerti.
È quanto annunciato ieri dal vice presidente della regione Campania Fulvio Bonavitacola intervenendo ad un convegno che si è tenuto a Salerno proprio per discutere del futuro di rifiuti solidi urbani.
l landfill mining è un processo virtuoso di recupero, nel ciclo rifiuti che riguardano innovative frontiere, ovvero l’estrazione di materiali pregiati dai vecchi rifiuti. Le discariche così diventano vere e proprie miniere di rame, alluminio, acciaio e altri risorse preziose.
A conferma di ciò, il report Recovery of critical and other raw materials from mining waste and landfills – pubblicato dal Joint research center (Jrc) della Commissione europea – evidenzia come nelle discariche e nei depositi di scorie minerarie europee c’è un potenziale inutilizzato di materie prime strategiche che aspetta solo di essere estratto.
Per migliorare lo sviluppo delle procedure minerarie, si può per esempio attuare una separazione meccanica dei materiali: una parte può essere recuperata attraverso il new mining, ovvero l’estrazione che permette di riutilizzare i rifiuti che altrimenti sarebbero stati smaltiti, per esempio con l’incenerimento.
La questione discariche e gestione dei rifiuti è essere molto importante per nostro Paese e l’Europa, dove la messa in sicurezza e la bonifica di siti inquinati sono considerate misure importanti per la protezione di aria, terra e risorse idriche. Il destino delle sostanze inquinanti, dei meccanismi di trasporto e delle caratteristiche dei contaminanti sono parametri significativi per la progettazione dei sistemi di bonifica.
Una forma di bonifica studiata già dagli anni ’90, ma che oggi sta riscuotendo interesse per la questione e la preoccupazione del ruolo delle discariche nella contaminazione degli acquiferi, potrebbe essere proprio il landfill mining. Questa tecnica potrebbe trovare un grande slancio, dal momento che consente di recuperare energia e materiale riportandolo a nuova vita.
Da anni, infatti, l’Unione europea punta all’urban mining, l’estrazione urbana, un altro modo di chiamare il processo virtuoso che consente di ricavare dai rifiuti metalli e materiali preziosi che si trasformano in materie prime secondarie, entrando così nel processo dell’economia circolare.
Questa tecnica è vista anche dall’Ue come un valido strumento per ridurre la dipendenza dalle materie prime di importazione, soprattutto per evitare che alcuni Paesi possano monopolizzare e strumentalizzare le materie prime strategiche.
Economia circolare dei rifiuti e landfill mining: una miniera da sfruttare
I rifiuti, quindi, possono essere una risorsa fondamentale: da una tonnellata di schede elettroniche si possono ricavare più di 2 quintali di rame, oltre 46 chilogrammi di ferro, quasi 28 di stagno e alluminio e circa 18 di piombo. Oltre a quantità minori di argento, platino e palladio.
I rifiuti elettronici, in particolare, sono una vera e propria miniera di metalli rari e preziosi e sono in crescita secondo il The Global E-Waste Monitor 2020. Pensiamo solo a uno degli oggetti più utilizzati in assoluto, lo smartphone, che al suo interno custodisce, tra gli altri, rame, argento, oro e platino, senza contare che la batteria a ioni di litio contiene cobalto e terre rare, ormai per antonomasia i “metalli delle nuove tecnologie”.
Si stima che nel 2030 arriveremo a circa 75 milioni di tonnellate, ossia 9 chilogrammi pro capite prodotti ogni anno, ben 120 milioni di tonnellate nel 2050. Ogni anno finiscono in discarica oltre 40 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, ma solo il 20% circa viene riciclato a livello globale, anche se il tasso di riciclo europeo è del 42,5%.
Si possono reperire materie prime secondarie anche da rifiuti urbani, scarti da costruzione e demolizione, discariche, veicoli fuori uso (una vettura a fine vita viene riciclata per circa l’85% dei suoi materiali). L’economia circolare può fare molto, quindi, anche nei settori dell’edilizia e delle costruzioni, tra le principali fonti di emissioni di carbonio a livello globale.
Il landfill mining può rappresentare in definitiva l’alternativa sostenibile allo sfruttamento delle risorse non rinnovabili. A livello globale, poco più dell’8% delle risorse provengono da riciclo e recupero. Occorre considerare però che il processo di estrazione delle risorse dai rifiuti prodotti va dalla raccolta alla caratterizzazione, dal trattamento al controllo di qualità, dal riciclo fino all’ottenimento delle materie prime secondarie.
Per far questo bisogna ripensare i prodotti in chiave sostenibile. Per far ciò, è necessario quindi aumentarne la durabilità e renderli facilmente scomponibili, riparabili e riciclabili. Per ottimizzare questo processo è indispensabile dunque coinvolgere tutti i protagonisti del processo, dalle industrie ai ricercatori, dalle aziende di gestione e di recupero dei rifiuti ai decisori politici, fino ai cittadini.
Se consideriamo lo studio What a Waste 2.0, che afferma che dal 2015 al 2025 avremo un incremento della produzione annuale di rifiuti urbani per persona pari al 18%, possiamo pensare e sperare che questa soluzione sia una vera miniera d’oro nel cuore delle nostre città.
In Italia ad avanzare un primo progetto di landfill mining è stata la società Greenup del gruppo Innovatec, nella discarica di rifiuti di Bedizzole fra Brescia e il lago di Garda. Qui si gestisce il flusso di rifiuti, tra i quali gli scarti tessili, le batterie al piombo, le imbottiture di gommapiuma e gli pneumatici delle automobili smantellate, con i compattatori dalle ruote giganti in azione all’interno della discarica di rifiuti per trovare materie prime pregiate. S