Il Parlamento dovrebbe, nelle prossime ore, convertire in legge la decisione di cancellare la norma che prevede che la Corte dei Conti debba, contestualmente al governo, dare il suo nulla osta alla liceità delle misure e delle variazioni di bilancio che si intendono prendere per portare a casa un’altra fetta dei miliardi erogati dal Pnrr. E, secondo la legge vigente, un eventuale parere negativo della suddetta Corte su numeri, calcoli o altro avrebbe imposto un “fermo macchina” per esaminare e concordare eventuali ritocchi e variazioni. Come ancora la Corte aveva il potere di dare il suo via al piano finale, un doppio “vincolo” voluto in passato dai legislatori per far sì che tutto fosse fatto a regola d’arte.
E da mesi questo era diventato il vero “rovello” della premier e dei suoi ministri che, da un lato – cosa più che legittima per un governo appena eletto – doveva rivedere sostanzialmente ottiche, piani e obbiettivi del Pnrr ma, dall’altro, rispettare anche le scadenze imposte da Bruxelles.
Ma come avrebbe potuto fare a rispettarle se la Corte dei Conti aveva il potere di imporre un continuo “fermo macchina” su tutto quel che si stava via via impostando o cambiando? E questo considerando anche la fin troppo nota “lentezza” con cui gli “esaminatori della Corte” valutavano misure e cifre messe insieme non senza fatica da ministri che, tra l’altro, non avevano mai vissuto esperienze del genere.
E così, senza dare nell’occhio, Palazzo Chigi decide di dare il via ad una serie di “sondaggi” per tastare il polso al “gradimento” che avrebbe avuto tra gli elettori una norma che “alleggerisca” ingombranti , fastidiose e persino eccessive procedure che impediscono ad un governo di svolgere, con i poteri che gli assegna la Costituzione, il suo lavoro. Con quesiti tipo “ma vi sembra giusto e democraticamente corretto che una Corte di poche persone possa, in qualsiasi momento, anche ogni giorno, bloccare per non si sa per quanto tempo il lavoro di un governo impegnato nella realizzazione di un piano che consentirà all’Italia di incassare dall’Europa 200 miliardi di euro? E arriva un diluvio di risposte che è facile immaginare non solo da parte di chi ha votato a destra, ma anche dai Calenda del cosiddetto Terzo Polo e persino l’assenso del costituzionalista Sabino Cassese che con la Meloni non è mai stato troppo tenero.
Con la confortante aggravante che – almeno questa è la voce che gira – più del 40% degli intervistati non sapeva nemmeno dell’esistenza della suddetta Corte che però, a tempo debito, farà di tutto per vendicarsi perché dalla legge non è stata invece cancellata la norma che le consente di tornare in cattedra e di bloccare chissà che quando il piano Pnrr verrà definitivamente varato da Palazzo Chigi. Altro fastidio, non tale però da togliere il sonno alla caparbia Meloni che una ne fa e cento ne pensa, insieme con Berlusconi, perché la destra alle prossime elezioni possa fare “il pieno” anche a Bruxelles.