Nel corso del Consiglio Affari Interni è stato trovato l’accordo tra i 27 per approvare i due pacchetti legislativi sulle procedure di frontiera e sulla gestione dell’asilo.Le norme vanno a comporre il complesso mosaico di provvedimenti di cui si compone il nuovo Patto sulla migrazione. Con la luce verde dei 27 il Consiglio ha stabilito il suo mandato negoziale: per l’approvazione definitiva si dovrà trovare una posizione comune con il co-legislatore, il Parlamento Europeo. L’Italia alla fine ha votato sì ai due regolamenti chiave del Patto Migrazione e Asilo.
Alla fine ce l’hanno fatta: i ministri degli Interni dell’Unione europea, riuniti in Lussemburgo al Consiglio Affari interni, hanno raggiunto un accordo sul nuovo Patto sulla migrazione, un complesso mosaico di provvedimenti che vogliono riformare il diritto d’asilo e la gestione dei migranti. Ci sono voluti nove anni per arrivarci. E solo oggi sono state necessarie dodici ore di negoziato e due tentativi di voto. Alla fine il sostegno è stato ampio: contrari solo Ungheria e Polonia; astenuti Malta, Slovacchia, Lituania e Bulgaria. Tutti gli altri a favore, Italia compresa. Per l’approvazione definitiva si dovrà trovare una posizione comune con il Parlamento Europeo. Il nodo finale era trovare un testo soddisfacente sulla definizione dei Paesi terzi sicuri dove sarà possibile inviare i migranti che non ricevono asilo.
«L’Italia ha avuto una posizione di grande responsabilità e ha trovato corrispondenza da altri Paesi: abbiamo cercato di rendere attuabili le procedure di frontiera, processo che noi riteniamo debba andare avanti. Riteniamo che sia un giorno in cui parte qualcosa e non solo sia un giorno di arrivo». Lo ha detto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi dopo l’accordo raggiunto in Consiglio.
«Volevamo che non passassero formulazione dei testi che depotenziassero la possibilità di fare accordi con Paesi terzi, sempre nell’attuazione della proiezione sulla dimensione esterna» ha detto Piantedosi. «È un compromesso che non lede il quadro giuridico internazionale», ha precisato confermando che si istituisce il principio che sarà lo Stato membro a decidere con quali Paesi stabilire accordi.
«Una giornata storica! I ministri degli Affari interni si sono riuniti oggi e hanno adottato una solida base per i negoziati con il Parlamento europeo su due delle nostre principali proposte sul patto di migrazione. Oggi abbiamo dimostrato che non ci arrenderemo. Dopo anni di fallimenti, abbiamo dimostrato che, in materia di migrazione, l’Europa può dare risultati». Così su Twitter il vicepresidente della Commissione europea Margaritis Schinas.
La commissaria agli Affari interni della Ue, Ylva Johansson, si è affidata a una metafora atletica: «In questa maratona, ci rimangono forse 100 metri». C’è chi teme che le lunghezze, o gli ostacoli, siano altri. I ministri degli Interni dei 27 si riuniscono oggi in Lussemburgo per un Consiglio Affari interni e Giustizia su uno dei tabù delle politiche comunitarie: la riforma delle regole migratorie nella Ue, in questo caso ricompresa nel Patto migrazioni e asilo che la Commissione vorrebbe chiudere entro il 2024.
Johannson si è già espressa con ottimismo, dopo che gli ultimi tre round negoziali dei rappresentanti permanenti nella Ue hanno lasciato trasparire qualche speranza di intesa entro il d-day dell’8 giugno.
Il via libera del Consiglio era vincolato al sostegno di circa due terzi degli stati membri, con il vincolo ulteriore di rappresentare almeno il 65% della popolazione. Tradotto nella pratica, significa che Paesi come Francia, Germania e soprattutto l’Italia dovevano esprimersi a favore di una riforma rimasta in sospeso dalla crisi migratoria del 2015 e rimpallata da un tentativo all’altro nel (quasi) decennio prima del voto nel 2024.
L’oggetto del contendere è l’eccesso di responsabilità sulle spalle di stati costieri come Grecia, Italia, Malta e Spagna, oggi incaricati di una trafila che va dai primi interrogatori all’analisi delle domande di asilo. L’ipotesi valutata più a lungo è quella di un sistema di quote per ridistribuire i flussi sui vari Paesi Ue, osteggiata dai Paesi più ostili a qualsiasi meccanismo di collaborazione come Polonia e Ungheria.