
Il nodo che oggi viene al pettine è un altro, anch’esso ben prevedibile. L’attuazione del Pnrr era strettamente collegata a un piano organico di riforme. In questo almeno le Autorità europee erano state chiare. Il Piano poteva e può costituire un effettivo rilancio economico-sociale soltanto se si modificano le strutture amministrative e le procedure con cui svilupparne gli obbiettivi. Si veda il contenzioso sulla Corte dei Conti. La diatriba tra rigore ragionieristico e velleità decisionistiche è destinata a durare in eterno fino a quando non si approntano norme nuove in materia di controlli e appalti e non si dotino gli enti pubblici di strutture tecniche adeguate. Senza semplificazione amministrativa, sburocratizzazione, testi unici, superamento del conflitto di competenza tra amministrazioni pubbliche, continueremo a baloccarci tra vuote ideologie efficientistiche e altrettanto impotenti velleità controllistiche.
Ancora più evidente l’esempio della sanità. Potremo anche stanziare miliardi di miliardi senza ottenere alcun effetto fino a quando non si comprende che è sballato l’assetto istituzionale del sistema, in cui ogni Regione è pressoché sovrana, in cui nessuna Autorità di fatto regola e coordina la spesa, in cui il rapporto tra pubblico e privato si squilibra a favore di quest’ultimo ogni giorno di più. E tutto questo rimanda di necessità a una profonda revisione in tema di Autonomie e di riassetto dei poteri tra i diversi soggetti che per la Costituzione compongono il nostro Stato. Diritto fondamentale la possibilità di accedere a cure mediche, altrettanto quello dell’istruzione. Capitoli fondamentali di quello Stato sociale che sta cadendo a pezzi. Come la sanità così la scuola, che ha cessato di funzionare come promozione sociale, opportunità primaria per la crescita culturale ed economica della persona. E saranno investimenti in computer e nuovi apparecchi per didattica on line e via cantando le meravigliose e progressive sorti della Tecnica a migliorare la situazione? O non piuttosto docenti motivati e decentemente pagati? O non piuttosto borse di studio, pre-salari, case per lo studente?
È il nesso tra Piano e riforme strutturali che non è stato messo a fuoco – e se salta, salterà il Piano nelle sue finalità strategiche. Non si fa sviluppo con i semplici debiti. È possibile farlo con serie riforme. I nodi prima sommariamente segnalati sembrano fuori dal cono di luce del governo, ma non sono certo al centro di quello dell’opposizione. Il governo aggiunge fumo a fumo per coprire la propria impotenza ad affrontarli con il mega bluff del Presidenzialismo. Nessun tabù nell’affrontare il tema. Ma come non vedere l’assurdo di agitarlo ora? Una riforma di questo peso come si pensa possa passare in un simile clima sociale e politico? Con maggioranze divise su tutto, fuorchè sulla cupiditas dominandi, e opposizioni divise pure su questa? Meloni come De Gaulle? E l’opposizione quali nuove norme propone in materia di appalti, opere pubbliche, riforme della sanità e della scuola? Per non parlare di difesa di quel 50% di italiani alle prese
con crollo di reddito e di status sociale. Si può pensare di affrontare questa emergenza non più tale, poiché sempre più tendenza implicita nel modello di sviluppo neo-liberista che abbiamo deciso di fatto da anni di adottare, con i soldi del Piano, ammesso anche di spenderli al meglio? Certamente no. Anche una riforma fiscale sarebbe necessaria, una grande manovra redistributiva. Ma come immaginarla se neppure l’evasione è stata seriamente intaccata e le tasse di fatto continuano a pagarle la metà degli italiani?