Nella distratta indolenza dell’estate, mentre l’opinione pubblica pensa placidamente che le scuole sono chiuse, e beati i docenti che si fanno tre mesi di vacanza, la Scuola pubblica continua come sempre a lavorare, e questa volta ancora di più, per prepararsi a resistere a un durissimo colpo.
Il parametro di 961 alunni, stabilito dal MEF per il dimensionamento scolastico, si abbatterà come scure specie sulle regioni del Sud, in particolare sulla Campania, a partire dall’a.s. 2024/25, nell’indifferenza generale.
Tanto riguarda solo i dirigenti scolastici e i DSGA, che perderanno la loro sede, pensano i più.
Invece riguarderà da subito anche il personale ATA, e, dopo un po’, se ne accorgeranno anche i docenti.
Ma, soprattutto, se ne accorgeranno le mamme dei bambini, quando il plesso vicino casa verrà chiuso per mancanza di personale. E se in città questo comporterà allungare il tragitto di poche centinaia di metri, sino al plesso scolastico viciniore, nei paesi dell’Irpinia, del Cilento, del Sannio, nelle isole, nelle zone montane e costiere questo significherà non avere più la Scuola pubblica, dunque perdere quell’unico presidio civico diffuso capillarmente in tutti i territori del nostro bel paese.
E questo significherà spopolamento dei piccoli centri, perché le giovani coppie con figli si sposteranno giocoforza altrove. Questa realtà dei piccoli comuni, legati alla Scuola pubblica del paese con un vincolo di cura e rispetto specialissimi, l’ho vissuta nei miei primi due anni di dirigenza in Irpinia, a Fontanarosa, un’unica Scuola su cinque Comuni. Ricordo i chilometri in auto per andare da un plesso all’altro, la ricchezza umana, la natura meravigliosa, l‘affezione delle persone alla Scuola.
La nostra Italia è un paese bellissimo, con una varietà geoantropica notevole, ma la Scuola è un bene comune per eccellenza, e il servizio istruzione, insieme alla sanità, è la base dello Stato sociale.
Distruggere la Scuola pubblica e la Sanità pubblica (e attuare l’autonomia differenziata, con stipendi più alti nelle regioni più ricche del nord) equivarrà a decretare la morte del Sud, e, con essa, la fine della grandezza del nostro Paese.
Si danno per scontate tante cose, si preferisce criticare senza analizzare e senza riflettere, sparare a zero su ciò che è pubblico e apprezzare solo ciò che si paga, ma quando verranno a mancare i servizi essenziali, la scuola, l’ospedale, solo allora, forse, si comprenderà quale imprescindibile elemento di civiltà e quale presidio di democrazia agita e non teorica è una Scuola pubblica in un piccolo borgo o in un rione di periferia.
E questo è un tema forte per la Politica con la “P” maiuscola, di governo o di opposizione, di destra o di sinistra poco importa: è una questione etica e civile fondante, che riguarda tutti, specie in un momento storico così delicato, in cui la società italiana va alla deriva per un degrado valoriale senza precedenti, con una sofferenza e una fragilità delle giovani generazioni sempre più preoccupanti, con una assenza ed una incapacità degli adulti ad educare addirittura dichiarata a chiare lettere. Preside, professore, aiutatemi voi, non so più che fare con mio figlio.Smantellare la Scuola pubblica significa colpire al cuore la nostra Italia, il nostro futuro.